Il messaggio del Papa per la Giornata del malato: “Oltre il muro del dolore”

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Una giornata per riscoprire il significato di stare quotidianamente vicino a chi soffre. Questo può essere il significato del messaggio del Santo Padre in occasione della XXI Giornata mondiale del malato, che ricorre l’11 febbraio.
Così l’aveva voluta il beato Giovanni Paolo II: momento forte di preghiera, di condivisione, di offerta della sofferenza per il bene della Chiesa e, insieme, richiamo perché tutti riconoscano nel sofferente lo stesso volto di Cristo, che ha sofferto, è morto ed è risorto per la salvezza di tutti.
Da sempre la Chiesa si fa vicino ai malati, il più delle volte emarginati dalla società, perché ritenuti portatori di una qualità di vita inferiore agli altri, perché difficili da avvicinare, perché un peso. Sì, è vero la malattia e i limiti fisici e psichici alzano, purtroppo, un muro nei confronti di chi è sano, creano una distanza tra noi e loro. Questo è inevitabile, perché chi soffre è come se vivesse un’altra dimensione, rispetto a chi è sano e questo crea spesso una sorta di disagio. Però, non è umanamente accettabile quello che ne segue: allontanamento, emarginazione, teorizzazione dell’inutilità di queste vite e dei costi nell’assistenza.
Il Papa ripropone ai credenti la figura emblematica del Buon Samaritano, perché i suoi atteggiamenti esprimono bene come vincere il muro. Per prima cosa si fece vicino al malcapitato, poi, considerando la sua situazione, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino. Inoltre, lo caricò sopra il suo giumento e lo portò a una locanda, dove si prese cura di lui per quel giorno. L’indomani lo affidò all’albergatore pagando le spese per la successiva assistenza. Ora, il comportamento del samaritano non è solo un buon esempio, è una regola che il Signore Gesù consegna a chiunque voglia essere suo discepolo: “Va’ e anche tu fa’ lo stesso”.
Prendersi cura di chi soffre è dunque normativo, dal momento che il Buon Samaritano è in realtà Cristo Signore: egli si è fatto vicino all’umanità sofferente e malata a causa del peccato. “Il Signore – scrive sant’Agostino – è molto vicino, perché il Signore si è fatto prossimo per noi”. E la divina liturgia prega, rivolgendosi al Padre: “Nella sua vita mortale egli (Cristo) passò beneficando e sanando tutti coloro che erano prigionieri del male. Ancor oggi come buon samaritano viene accanto ad ogni uomo piagato nel corpo e nello spirito e versa sulle sue ferite l’olio della consolazione e il vino della speranza. Per questo dono della tua grazia anche la notte del dolore si apre alla luce pasquale del tuo Figlio crocifisso e risorto”. Gesù è il Figlio di Dio, Colui che rende presente l’amore del Padre, amore fedele, eterno, senza barriere né confini.
Segno del suo farsi prossimo all’umanità sono i tanti miracoli di guarigione che Cristo ha compiuto, in quanto Figlio di Dio. Certo le guarigioni, che ancora oggi non mancano, come segno della presenza di Dio, sono tutto sommato episodi rari. Ben più ordinaria è la salvezza dalla malattia del peccato, che il Signore continuamente opera a vantaggio di tutti quelli che ricorrono a Lui.
Eppure, i miracoli nei confronti dei malati non mancano: sono tutte quelle persone che mettono in pratica il comando del Signore – “Va’ e anche tu fa’ lo stesso – e ne imitano gli atteggiamenti. Sì, che un uomo si prenda cura del suo fratello, rinunciando a qualcosa di sé, è davvero un miracolo. Non è ovvio, né scontato. Più naturale, invece, sarebbe l’atteggiamento di Caino, che rifiutava solo l’idea di essere custode del suo fratello!
Come prendersi cura? “Il Signore – scrive il Papa al centro del messaggio di quest’anno – indica qual è l’atteggiamento che deve avere ogni suo discepolo verso gli altri, particolarmente se bisognosi di cura. Si tratta quindi di attingere dall’amore infinito di Dio, attraverso un’intensa relazione con Lui nella preghiera, la forza di vivere quotidianamente un’attenzione concreta, come il Buon Samaritano, nei confronti di chi è ferito nel corpo e nello spirito, di chi chiede aiuto, anche se sconosciuto e privo di risorse”. Assistere il malato richiede, prima del fare, l’essere segno dell’amore infinito di Dio, che si china sull’umanità. Talvolta, ci sarà molto da fare, altre volte ci si sentirà impotenti, ma sempre si sarà segno di un amore e di una presenza misteriosa e reale.
Chi segue Cristo, l’uomo perfetto, diviene lui pure più uomo, a cominciare dal porsi nei confronti della sofferenza, esperienza che rende maggiormente uomini. “Non è lo scansare la sofferenza – scrive Benedetto XVI nell’enciclica Spe Salvi (n. 37) -, la fuga davanti al dolore, che guarisce l’uomo, ma la capacità di accettare la tribolazione e in essa di maturare, di trovare senso mediante l’unione con Cristo, che ha sofferto con infinito amore”. L’annuale Giornata del malato aiuta a ritrovare in che senso vivere la propria umanità e accogliere quella segnata dal limite, ricordando le tante figure che nella storia millenaria della Chiesa hanno aiutato i malati a valorizzare l’inevitabile sofferenza.

                                                                                                                                                         Marco Doldi

 

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