Sport e società, talvolta sinonimi ma sempre complementari, impongono oggi più che mai visione e proposte di bene comune, partendo da precisa analisi. Soprattutto nell’era di una pandemia che ha evidenziato le arcaiche e sempre presenti tendenze dell’uomo: l’egoistica ricerca del vantaggio personale che si è rivelato in tutto il suo raccapricciante splendore, da sempre e per sempre. Hai voglia a montare su striscioni con “andrà tutto bene” o “ne usciremo migliori”. La realtà dei fatti è che assistiamo quotidianamente a storie di “furbetti del vaccino”. Per la serie: l’interesse personale al primo posto. Nel frattempo gli stati litigano tra loro non solo sull’approvvigionamento dei vaccini, ma anche su quali possano essere ammessi. In questa baraonda, i Governi con più denaro si accaparrano la maggior parte delle dosi. Gli altri…
Homo homini lupus, nello sport come nella società?
Se il ritorno alla normalità può essere riacquisito solo se una certa percentuale della popolazione si è vaccinata, allora che senso ha la sperequazione nella distribuzione? Si, ma il problema sono i limiti del sistema produttivo. E allora perché non lasciare che TUTTI possano produrlo? Che senso ha la tutela del brevetto, se vi è di mezzo la tutela di un bene collettivo superiore che è la salute? Chi ha letto fino a questo punto starà certamente controllando di aver cliccato correttamente sulla sezione sport. Sì, ora ci arriviamo.
I giocatori non vincono trofei: il gruppo e la squadra vincono trofei
Gli sport di squadra sono l’emblema delle contraddizioni della società moderna. Ci puoi ritrovare dentro l’individualismo, il sacrificio, il bene comune (o collettivo), il problema del free rider e tante altre belle cose. La vittoria può essere inseguita solo lavorando collettivamente, di squadra. A volte i singoli vincono qualche partita, ma non si è mai visto che vincano i campionati. Eppure in allenamento ciascuno di questi ragazzi egoisticamente cerca di guadagnarsi il posto per la partita della domenica. E quando non ci riesce, che fa? Tifa contro i suoi compagni? Normalmente no. Il bene comune viene prima. Nella vita di gruppo ci si arricchisce nell’incontro con gli altri, la forza della squadra sta nel superare la semplice somma di ciascun individuo.
La fondamentale importanza dell’Altro: avversario e compagno
È la sinergia, la coesione, la pluralità il valore aggiunto. Una parola sentirete sempre da tutti gli sportivi: sacrificio. Si, perché ciascuno di loro sacrifica un pezzettino del proprio ego per il bene comune. Non solo giornalmente nella vita privata, ma anche (se non soprattutto) nella vita di squadra. Nello spogliatoio e in campo. L’importanza dell’Altro non si limita ad avere compagni di squadra di livello, che rendano sfidante ed allenante le sedute giornaliere. Ma ricomprende anche l’avversario, proprio colui che può dare la misura della preparazione effettuata. Ci si accorge dell’importanza dell’avversario solo quando…viene a mancare. Vedi per esempio la rinuncia di molte squadre di Eccellenza, che non riprenderanno il campionato. In questo senso, l’importanza di curare un movimento che possa crescere insieme si palesa lapalissianamente.
Sport e società / Visione e proposte di bene comune
Il miglioramento del movimento calcistico passa per una cura del bene comune, purtroppo ancora sconosciuta. Ad esempio, lo sviluppo collettivo dei settori giovanili non può che passare dalla focalizzazione dell’obiettivo ultimo: la costruzione delle nuove leve. La ricerca della vittoria rimane, e deve rimanere, un obiettivo sportivo, che però non monopolizzi le indicazioni ed i lavori tecnici. Chiaramente, parlando di sport, non si può demonizzare la vittoria. Si vuole solo intendere che questa non può dare adito a scorciatoie, inganni e sotterfugi, per poter essere raggiunta. È tutto il movimento che ne viene inficiato, se non si rispettano i valori dello sport.
Il costo della corruzione personale
Allo stesso modo, non si guarda al bene collettivo quando si accettano mazzette per far giocare determinati giocatori, quando si pagano procuratori (o peggio le società) per piazzare qualcuno (che non potrebbe starci altrimenti), quando si organizzano “eventi” solo per sfilare via qualche centinaia di euro ai genitori, quando si concede la panchina agli allenatori con gli sponsor. Non scopriamo oggi che il mero individualismo comporta “costi” collettivi (maggiori) a fronte di benefici personali (minori). È allora possibile un’altra prospettiva?
Sport e società / Visione e proposte di bene comune: calcio… civico e sostenibile
Prendendo a prestito alcuni concetti dell’economia civile, è probabilmente possibile un cambio di paradigma. Il bene fonte di consumo istantaneo ed estemporaneo, tipico del sistema economico consumistico, per cui cerco di ricavare il massimo dalla transazione, dovrebbe allora divenire bene relazionale, in cui l’utilità di ciascun soggetto è moltiplicativo dell’utilità collettiva. In tal senso si instaurano transazioni durature, che per questo sono rivolte all’Altro in maniera da ottenere insieme dei vantaggi nel tempo. Un esempio concreto potrebbe essere la creazione di community foundation, nulla di nuovo: charity che in Inghilterra esistono da tempo. Sono delle vere e proprie fondazioni delle Società calcistiche orientati alla comunità in cui il club vive e con cui si relaziona.
Sport e città, tra formazione e reciproco sostegno
Il loro obiettivo è quello di restituire alla città, gratuitamente, delle possibilità di aggregazione, scambio e crescita, grazie all’effetto traino del calcio. Nei settori giovanili il cambio di paradigma comporterebbe una maggiore attenzione alla selezione, alla gestione e crescita dei talenti in erba, al fine di capitalizzare questo lavoro con l’arrivo in prima squadra. Per chi non ci arriva (in quel momento), la concreta possibilità di dimostrare il proprio valore presso club satellite. Anche qui, la relazione duratura con le società dell’hinterland risulta prioritaria e fondamentale. Così come la costante attenzione alle persone. La differente strutturazione dei settori giovanili, volta al bene collettivo e alla sostenibilità, risulta allora necessaria per affrontare le nuove sfide della modernità.
Sport e società / Visione e proposte di bene comune: la persona al centro per risorgere dalle ceneri
In tal senso, sarebbe auspicabile che i club mettano al centro della loro creazione di valore quel “prodotto” ancora oggi sottovalutato, ma che risiede intrinsecamente nell’attività: il sapere, il know how. Valorizzando le risorse intangibili è possibile rivoltare come un calzino il modello di business, al momento fallace, centrando al contempo due obiettivi strategici: rimettere al centro le persone e rendere redditivo economicamente il vivaio. In questo contesto ristrutturare il settore giovanile significa dare un nuovo significato alla parola Accademy, troppo spesso circoscritta alla formazione tecnica dei piccoli calciatori. L’accademia che sia formazione a 360 gradi dello sportivo, che comprenda anche tutti i vari stakeholders, quali per esempio i genitori, i tecnici e in generale la comunità di cui si fa parte, si trasforma per rendersi al tempo stesso utile sul piano sociale ed economico.
Settore giovanile tra dati, formazione e sviluppo
Sotto questo punto di vista, il settore giovanile (così come la scuola calcio) rientrerebbe all’interno di un più grande ombrello formativo, che ricomprenda la ricerca e sviluppo, la creazione di conoscenza e la sua diffusione. Ad oggi assistiamo ad un proliferare di corsi professionalizzanti (es. match analyst, preparatore atletico, allenatore per dirne alcuni) sviluppati da enti terzi ai club calcistici. Ma visto che ciascun club calcistico crea autonomamente e senza alcun costo aggiuntivo conoscenza, know how (saper fare) e best practices (esperienze che permettono risultati eccellenti), non si capisce come mai non si possano sfruttare queste risorse intangibili per rendere sostenibile e, anche, redditizio questo valore aggiunto.
Sport e società / Visione e proposte: il bene comune collettivo superiore
La situazione attuale ha messo in evidenza come l’umanità si sia trovata impreparata a gestire le priorità degli interessi nel mondo. Se la salute è riconosciuta come bene collettivo superiore, allora non ha senso il brevetto, né la sperequazione della distribuzione dei vaccini. Allo stesso modo, si assiste nello sport italiano, e nello specifico nel calcio, a molte gestioni individualistiche, di cura del proprio orticello. Non ci si deve sorprendere, dunque, che ci si ritrovi ad arrancare sia economicamente che tecnicamente. La speranza è quella di riuscire a mettere finalmente il carro davanti ai buoi. Di attivare un circolo virtuoso che, grazie a relazioni durature e sane, possa portare sia risultati concreti al movimento calcistico che esternalità positive verso le comunità.
*Allenatore Uefa B, laureato in Economia aziendale e specialista in formazione, con esperienza in squadre afferenti alla FIGC.