L’Etna continua a regalare suggestive eruzioni da 5 mesi a questa parte, ma quello che prima era uno spettacolo si è trasformato in un’emergenza per i comuni etnei. La cenere vulcanica continua ad accumularsi ai bordi delle strade e nelle abitazioni costituendo un potenziale pericolo per la salute umana oltre che un costo per lo smaltimento. Un barlume di speranza viene dall’Università di Catania, che prospetta nuove soluzioni per l’utilizzo del materiale vulcanico.
Eruzioni Etna/ Emergenza o spettacolo?
Il 16 febbraio, mentre le televisioni nazionali e internazionali erano impegnate ad esaltare le eruzioni dell’Etna come uno spettacolo della natura, i comuni circostanti si sono trovati costretti a fronteggiare l’emergenza contando solo sui propri mezzi. Solo tra febbraio e marzo Giarre ha prodotto 12 mila tonnellate di cenere da smaltire. Il tutto, a danno dell’amministrazione comunale. Secondo le stime dell’INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia), la caduta di cenere è passata “dai 400/800 grammi per metro quadro” delle prime eruzioni ai “7 chilogrammi per mq” dei fenomeni più recenti. Ma purtroppo il danno non è circoscritto ai paesi etnei, anche Messina, Palermo e Siracusa sono state colpite.
Un rifiuto costoso
In base alla legge attuale la cenere viene considerata un rifiuto speciale. Deve essere conferito in discarica al costo di circa 120 euro per tonnellata o negli impianti di recupero per 12 euro a tonnellata. Costi insostenibili per i nostri comuni. Ad essi si aggiungono le spese per la raccolta di ceneri dalle strade. In totale si è stimato che le spese per lo smaltimento ammontano a circa 12 milioni di euro. Per questa ragione il Presidente Nello Musumeci ha chiesto e ottenuto l’assegnazione di 5 milioni di euro da parte del Dipartimento Nazionale della Protezione Civile. Risorse che si aggiungono ai 2 milioni disposti dalla Protezione Civile regionale.
Cenere e polveri sottili
Secondo un parere dell’ASP di Catania, rilasciato nel 2013, la cenere vulcanica può essere irritante “per le mucose degli occhi e per l’apparato respiratorio”. Il materiale vulcanico che cade sulle strade viene quotidianamente frantumato dai mezzi in circolazione, fino quasi a disintegrarlo. I ricercatori dell’INGV avvisano che queste polveri sottili, se inalate per lunghi periodi, potrebbero entrare in circolo nell’organismo attraverso il sistema sanguigno e quello linfatico. Dunque ora più che mai è necessario l’uso delle mascherine anche all’aperto. E non solo per il Covid-19.
Da rifiuto a risorsa
Un team di ricercatori dell’Università di Catania ha dato vita al progetto REUCET (Recupero e utilizzo delle ceneri vulcaniche etnee) finanziato dal Ministero dell’Ambiente. Questo progetto ha affrontato per la prima volta il tema del riutilizzo delle ceneri vulcaniche. Dagli esperimenti condotti è possibile impiegare la sabbia nera nell’edilizia e nelle pavimentazioni stradali. I componenti di questo materiale infatti consentono il confezionamento di malte, intonaci e pannelli isolanti del tutto simili a quelli convenzionali. Senza contare gli usi della cenere in ambito florovivaistico (come concime e drenante), ed erboristico (per creme ed unguenti).
Quando un rifiuto smette di essere tale?
Per trasformare la sabbia vulcanica da rifiuto a prodotto, la normativa vigente richiede 3 requisiti tecnici:
- la sostanza deve essere utilizzata “per scopi specifici”;
- deve esistere un mercato o una domanda per quel prodotto;
- non deve avere “impatti negativi sull’ambiente e sulla salute umana”.
La cenere vulcanica soddisfa tutti e tre i requisiti ma l’ultima parola spetta al Ministero. Non ci resta che attendere.
Cristina Di Mauro