La storia di Piersanti Mattarella è quella di un Presidente di Regione che ha dedicato la sua vita al riscatto della Sicilia, tramite riforme che hanno bloccato sul nascere i rapporti tra mafia e istituzioni. Un uomo di princìpi, ma non un sognatore. Nato in una famiglia profondamente devota, cresce educato al rispetto del prossimo e del bene comune. Per lui l’azione politica non può essere scissa dalla morale, infatti non si lascia coinvolgere nelle logiche corrotte che appestavano l’ambiente politico siciliano (e tutt’ora continuano a farlo, cronache alla mano).
Storia Piersanti Mattarella / La Sicilia nell’ora più buia
La Sicilia ha vissuto storicamente guerre, stragi e assedi, eppure solo negli anni ’80 sui giornali si leggeva in prima pagina “La Sicilia nell’ora più buia”. Le vittime di quei giorni non erano solo mafiosi o persone che lottavano contro la mafia. Le rivalità mafiose erano una spirale di violenza senza fine. Si uccidevano bambini e i parenti dei parenti. Nessuno era mai davvero al sicuro. Tutti erano sottomessi a qualcuno. Chi aveva soldi e potere ne bramava sempre più e si credeva padrone del mondo. Un’illusione che durava solo finché qualche boss di turno decideva che quella persona non gli era più utile.
Anni di incertezza per il futuro e di terrore, che la mafia ha sfruttato per riprendere il controllo dell’isola. La Democrazia Cristiana, di cui Mattarella faceva parte, era minata alle basi da logiche clientelari. La politica e le opere pubbliche risultavano spesso controllate da personalità ambigue in forte odore di mafia, come Salvo Lima. In quegli anni, molti palazzi Liberty furono demoliti per far posto ad anonimi palazzoni popolari. Altri, come il palazzo Florio, incendiati in segno di minaccia.
La sua idea di Sicilia
Mattarella entra in politica in una delle regioni più problematiche e corrotte d’Italia. Ha chiari subito, davanti a sé, i due nemici della Sicilia: il sottosviluppo e la presenza della mafia che lambisce gli ambiti istituzionali. Mira ad una politica della legalità e della trasparenza. Sa che la strada per la redenzione della Sicilia passa per il risveglio della coscienza dei siciliani ma sa che senza l’aiuto dello Stato centrale ogni sforzo contro la mafia rimarrà vano. Perciò si reca spesso a Roma per sollecitare attenzione e intervento del Parlamento e del Governo.
Carriera
La sua carriera politica comincia in sordina nel 1964, quando viene eletto al Consiglio Comunale di Palermo. Nel ’67 viene eletto all’Assemblea Regionale Siciliana. Si occupa immediatamente della riforma della burocrazia disegnando un’amministrazione moderna e al passo con i tempi. Quando viene eletto Presidente di Regione, Mattarella si trova a dover governare una Regione marcia. Laddove nessuno avrebbe osato muovere un dito, lui dà vita ad un vortice di riforme, per operare una pulizia del sistema dall’interno. Dove gli altri fanno finta di non vedere, lui denuncia apertamente.
Un democristiano “diverso” o l’ultimo democristiano autentico?
Mattarella, seppur fedele agli ideali della DC si allontana completamente dalle logiche partitiche di quegli anni. Non accetta di difendere le mele marce della Democrazia Cristiana. Quando Pio La Torre denuncia la corruzione dell’Assessorato all’Agricoltura, Piersanti non difende l’istituzione accusata, anzi ribadisce l’importanza della trasparenza. Alla morte di Peppino Impastato pronuncia parole durissime contro la mafia che lasciano sbigottiti i presenti.
Ormai è chiaro a tutti che Mattarella fa politica in un modo diverso. E’ lo specchio di quei siciliani che speravano ancora in una Sicilia nuova. Già alle elezioni del ’71, la DC perde credibilità e voti: il colpo è di 40 mila unità in meno. Il Presidente Piersanti invece aumenta i suoi consensi a dismisura, distaccandosi definitivamente dal suo partito.
Storia di Piersanti Mattarella: le riforme per la Sicilia
Mattarella ha la capacità quasi miracolosa di passare dalle parole ai fatti. L’elenco dei provvedimenti che riesce a far approvare, nonostante le resistenze, è lungo e significativo. Rafforza i poteri del Presidente della Regione a scapito degli Assessori (che talvolta si comportano come signorotti feudali). Ferma la colata di cemento che stava distruggendo i palazzi storici di Palermo tagliando i guadagni degli speculatori edilizi. Per farlo, elabora una legge urbanistica che abbassa sensibilmente gli indici di edificabilità dei terreni: questo è il vero colpo agli interessi della mafia. Blocca il riciclaggio di denaro sporco rallentando la concessione degli sportelli bancari, che passano da 136 a 17.
“Per una Sicilia delle carte in regola”
Alla vecchia storia della “Sicilia delle proroghe”, Piersanti Mattarella cerca di contrapporre la “Sicilia delle carte in regola”. Si rifiuta di porre proroghe all’approvazione del bilancio e altre pratiche. Il lavoro viene svolto in maniera trasparente e puntuale. Anche nella formazione del suo team si dimostra innovativo: non gli interessano i “signori delle tessere”. Al contrario, preferisce circondarsi di persone capaci. Sostiene con fermezza l’introduzione di criteri di rotazione e limiti temporali nelle cariche. Evita il formarsi di pericolosi clientelismi. Cerca di portare il Partito Comunista nell’area di governo, come Moro.
“Rischio di finire nel cemento”
Per evitare infiltrazioni mafiose negli appalti pubblici, Piersanti decide di disporre ispezioni e controlli sulle opere pubbliche. Famoso il caso dell’ispezione per la costruzione di 6 scuole nel comune di Palermo. Si erano presentate sei ditte che avevano ottenuto il gradimento dei boss, una per ciascuna scuola. Un giorno andò da lui l’ispettore Mignosi – racconta il fratello Sergio – incaricato dell’ispezione sull’appalto di alcune scuole per dirgli “Presidente se Lei vuole io continuo, ma c’è odore di mafia, rischio di finire nel cemento”. Il Presidente gli rispose “Andiamo avanti eventualmente nel cemento ci finiamo entrambi”. L’appalto venne bloccato ma sbloccato immediatamente dopo la sua morte.
Un altro delitto Moro?
Il Presidente Mattarella in pochi anni aveva portato alla luce il degrado della politica siciliana, bloccando al contempo molti affari mafiosi. Come se non bastasse si era avvicinato al partito che all’epoca era considerato inavvicinabile: i comunisti. La sua sentenza di morte era firmata da molto tempo. Eppure la condanna arriva nel momento più crudele. Una fredda mattina di Gennaio, Mattarella è in auto con tutta la sua famiglia: stanno per andare in Chiesa. Un killer a volto scoperto, dagli “occhi di ghiaccio” come ricorderà la vedova Mattarella, lo attende. In pochi minuti lo crivella di colpi davanti allo sguardo dei figli. Il Presidente muore stretto nell’abbraccio della moglie.
Pochi anni prima, la mattina del rapimento Moro, Piersanti aveva ricevuto una telefonata. “Adesso toccherà a voi” aveva detto la voce all’altro capo del telefono. Quella chiamata lasciò perplessi tutti, poiché quel numero era conosciuto solo dai membri più stretti della famiglia. Eppure, a distanza di anni non si riescono a nascondere le analogie tra l’azione di Moro e quella di Mattarella. Entrambi alleati dei comunisti ed entrambi uccisi da forze occulte. Ancora oggi, a distanza di 40 anni non sono stati trovati i mandanti dell’omicidio Mattarella. Restano solo voci di pentiti che si contraddicono a vicenda.
“Non una vocazione al martirio”
Mattarella, Chinnici, Dalla Chiesa, Borsellino, l’elenco potrebbe continuare all’infinito, non sono eroi che si sono voluti sacrificare per la patria. Sono persone che hanno voluto porre fine a quei meccanismi corrotti che regnano nella nostra isola. Sono persone che credevano nel cambiamento. La conclusione più adatta al ricordo di Piersanti Mattarella non possono non essere le parole del fratello Sergio in un documentario Rai:
“Era una persona normale, potrei fare la stessa affermazione anche per altre persone che ho conosciuto e che sono state assassinate perché affermavano la legalità. La loro non era una vocazione al martirio, ma un senso di dignità […] di vivere la vita amandola, apprezzandola ma anche in maniera fruttuosa secondo dei principi”.
Cristina Di Mauro