Giornata del migrante / Così Sciascia descriveva l’esodo dei siciliani in America

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Domenica 26 settembre la Chiesa ha celebrato la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato. Papa Francesco con la frase “Verso un noi sempre più grande” ha richiamato il popolo cattolico e non, a guardare al mondo in una maniera assolutamente inclusiva.

La giornata, come commemorazione, parte dal lontano 1914. La ricorrenza cade l’ultima domenica del mese di settembre. Il messaggio del Papa, sembra voler dire che non si può chiamare cristiano solamente chi va a messa la domenica se tutto finisce là.

I 36.000 migranti, morti in mare negli ultimi quindici anni nel tentativo di attraversare il Mediterraneo, in cerca di qualcosa di diverso del loro inferno, non possono lasciare indifferente nessuno. Ancora di più se parliamo di credenti. Tutti noi abbiamo avuto la fortuna di nascere in un luogo e in un momento storico che, tutto sommato, seppure con mille difetti e tante follie, ci hanno preservati dalla necessità di scappare per continuare a vivere.migrantiNaturalmente non bisogna dimenticare che, a cominciare da cento anni fa, erano i nostri antenati a scappare. E a raggiungere “le Americhe” nel tentativo di inseguire il sogno di una vita: un lavoro e cibo per sfamarsi senza vivere di stenti!

Così Sciascia descrisse i migranti dalla Sicilia

Questo periodo è, egregiamente, descritto da Leonardo Sciascia, nostro grande connazionale, nel suo testo “Il mare colore del vino”, libro di racconti del 1973.

Una di queste narrazioni, dal titolo “Il lungo viaggio”, descrive una vicenda ambientata negli anni in cui la gente scappava dalla Sicilia per trovare una vita più vivibile. Alla lettura, la vicenda narrata, appare terribilmente attuale ed ha una forte similitudine con quella dei migranti che fuggono dalle loro terre di origine.

“Era una notte che pareva fatta apposta, un’oscurità cagliata che a muoversi quasi se ne sentiva il peso. E faceva spavento, respiro di quella belva che era il mondo, il suono del mare: un respiro che veniva a spegnersi ai loro piedi. Stavano, con le loro valige di cartone e i loro fagotti, su un tratto di spiaggia pietrosa, riparata da colline, tra Gela e Licata…
Qualcuno di loro, era la prima volta che vedeva il mare: e sgomentava il pensiero di dover attraversarlo tutto, da quella deserta spiaggia della Sicilia, di notte, ad un’altra deserta spiaggia dell’America, pure di notte”.

Migranti di allora come quelli di oggi

E’ la storia di alcuni poveri diavoli che vendono le poche cose che hanno per scappare dai loro paesi all’interno della Sicilia per raggiungere l’America. Quel paese rappresentava per loro una meta lontana ma dove si viveva come in paradiso: senza stenti e con tanti soldi. Purtroppo, per loro sfortuna, si affidano nelle mani di un lestofante che, in cambio del denaro, promette loro di portarli in” undici giorni” in America con un barcone. In realtà li fa girare in tondo giorno e notte, per poi scaricarli poco lontano, a Santa Croce Camerina, dicendo loro di essere arrivati in America. Ben presto, i poveri illusi, si renderanno conto della beffa a cui il malvivente li aveva sottoposti approfittando della loro ignoranza e del loro bisogno di scappare dalla miseria”.

Il signor Melfa aveva raccomandato – sparpagliatevi – ma nessuno se la sentiva di dividersi dagli altri. E Trenton chi sa quant’era lontana, chi sa quanto ci voleva per arrivarci. Sentirono, lontano e irreale, un canto. “Sembra un carrettiere nostro”, pensarono: è che il mondo è ovunque lo stesso, ovunque l’uomo spreme in canto la stessa malinconia, la stessa pena. Ma erano in America, le città che baluginavano dietro l’orizzonte di sabbia e d’alberi erano città dell’America.
Due di loro decisero di andare in avanscoperta… erano sbarcati in Sicilia”.

Mariella Di Mauro

 

 

 

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