Politica / Dopo il no di Sergio Mattarella, abbassare i riflettori sul “Colle”

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Quirinale
Foto Sir/ Marco Calvarese

Nonostante Sergio Mattarella si dichiari da tempo, in vari modi, contrario alla sua rielezione, non sono pochi coloro che sperano ancora nel miracolo. Il Capo dello Stato da tempo manifesta la sua intenzione di non restare un giorno in più su quel “Colle” dove si insediò il 3 febbraio del 2015.
Uno dei primi segnali lo ha lanciato lo scorso settembre. Quando fece sapere che il prossimo 16 dicembre si sarebbe recato da Papa Francesco per la visita di congedo. Un altro indizio lo ha fornito quando ha fatto trapelare la notizia di essere alla ricerca di una casa dove abitare dopo la fine del suo mandato. In più non ha perso occasione per manifestare, anche sotto il profilo Costituzionale, la sua contrarietà alla rielezione del Presidente della Repubblica. Con il recente viaggio in Spagna, infine, ha dichiarato concluso anche il suo programma delle visite di Stato.

Inutile dire che questa fermezza di Mattarella ha gettato nel panico pressoché tutte le forze politiche. Poichè la corsa al Quirinale, che si deciderà a gennaio del 2022, è strettamente legata sia alla durata del governo che a quella della legislatura.
Con tutti gli interessi, le indicazioni e le controindicazioni politiche che si addensano attorno a questi due aspetti che stanno facendo della elezione del nuovo inquilino del Quirinale un vero e proprio affare di Stato.

Sergio Mattarella non vuole ricandidarsi, panico tra le forze politiche

Un adempimento normale, di routine, previsto dalla Costituzione si sta rivelando complicato. Ciò a motivo dei conflitti sia tra gli schieramenti politici che all’interno degli stessi partiti. Il rischio è che il Paese passi da una situazione “ideale”, che contempla oggi a capo delle due Istituzioni apicali dello Stato due figure rassicuranti – Mattarella e Draghi – a una situazione resa ancora più incerta anche a motivo della pandemia.
Insomma, il rischio è che la Repubblica perda in un solo colpo non uno ma due “assi”.

Molto opportuna, allora, la decisione presa da tutte le forze politiche – si spera non solo a parole – di congelare la questione Quirinale fino a gennaio.  Per consentire così ai partiti di approvare prima la manovra finanziaria e ricercare poi una soluzione la più condivisa possibile. Il Presidente della Repubblica rappresenta, infatti, l’unità nazionale (articolo 87 della Costituzione) e il suo ruolo principale è quello di essere il collante del Paese.

Al Quirinale nè Sergio Mattarella, nè Mario Draghi

Scartata, pertanto, la soluzione ideale, ipotizzata da tutti i partiti, che voleva “congelati” i nomi di Sergio Mattarella al Quirinale e Mario Draghi a Palazzo Chigi, si deve ora affrontare quella più reale che consenta, dopo avere perduto la prima figura, di mantenere in piedi almeno la seconda. Mentre Mattarella ha compiuto molti gesti per esprimere la sua volontà, Draghi non ha mosso alcun passo per avvicinarsi al Quirinale. E nemeno per restare a Palazzo Chigi.
Impassibile continua a compiere il suo lavoro, lasciando ai partiti la gestione del problema. Anche se probabilmente non saranno in grado di assicurargli i voti necessari per l’elezione al colle. In più di una occasione, infatti, i partiti hanno dimostrato di non riuscire a governare neppure i loro gruppi parlamentari, i quali sembrano mossi prioritariamente da altri interessi, non ultimo quello di raggiungere i requisiti minimi per la pensione di parlamentare.

C’è da riconoscerlo: è un bel rompicapo! Pur considerando Draghi in grado di fare altrettanto bene al Quirinale, nessuno può garantire che sul suo nome si formi una larga e qualificata maggioranza. Con la conseguenza che se Draghi non dovesse passare alle prime votazioni si rischierebbe il caos. Bisognerebbe spiegare perché un nominativo che raccoglie una maggioranza plebiscitaria per fare il Premier non ottenga la stessa maggioranza per fare il capo dello Stato.

C’è da sperare, allora, che le forze politiche trovino quella ispirazione per individuare una soluzione che eviti di interrompere il momento favorevole che sta attraversando l’Italia. Il tempo del muro contro muro, piaccia o no, è finito. Il bene del Paese merita che si accantoni qualche interesse particolare a vantaggio del bene comune.

Pino Malandrino
direttore de “La Vita diocesana” (Noto)

 

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