Per la rubrica dei “sacerdoti secolari” della Diocesi di Acireale riproponiamo l’intervista a Padre Alfio Donzuso, recentemente scomparso all’età di ottantacinque anni (leggi qui). Così si espresse sul dono della pace: “Vuol dire vedere tutto con la luce di Dio”.
Alfio Donzuso nasce il 21 giugno 1936 a Santa Venerina, nella parrocchia del Sacro Cuore di Gesù. Fratello di Giovanni, Giuseppe, Salvatore e Venera, insieme ai suoi genitori, a quel tempo dediti ai lavori della terra, si trasferisce a Dagala del Re all’età di nove anni e inizia a frequentare la Parrocchia. Nel 1955 entra in Seminario e il 15 marzo del 1964, un giorno che ancora molti parrocchiani ricordano, Padre Alfio Donzuso nella Chiesa di Dagala riceve gli ordini sacerdotali da S.E.R. Mons. Pasquale Bacile, vescovo di Acireale. Appena ordinato sacerdote resterà per alcuni anni accanto al Rettore del Seminario Mons. Gesuele Russo; in seguito gli sarà affidata la Parrocchia di Calatabiano, dove sarà parroco dal luglio 1965 al settembre 1969. Dopo questa prima esperienza parrocchiale ritorna in Seminario come vice Rettore fino al 1991, tra alti e bassi: infatti, contemporaneamente sarà impegnato come Parroco nella Parrocchia di S. Giovanni in Acireale, fino al 1991. A cinquantacinque anni gli viene affidata la guida dell’Oasi, la casa per gli anziani sacerdoti fondata da Mons. Michele Cosentino, un impegno che ha portato avanti con zelo e abnegazione fino allo scorso dicembre 2013. Padre Alfio Donzuso alle nostre domande ha risposto con semplicità di cuore, non smentendo il suo inconfondibile stile.
Cosa significa per lei essere “fedele” alla Chiesa?
“Andare in nome della Chiesa e di Dio non è certo bigottismo. Piuttosto è essere fedeli nella Chiesa, nel rispetto della verità. È essere fedeli alla parole di Dio e a quella luce che da essa proviene. Mi sento ogni giorno soddisfatto perché quotidianamente medito la Parola di Dio, e mi domando: oggi il Vangelo cosa mi ha voluto dire?”.
Quale insegnamento ha tratto lungo la sua vita sacerdotale?
“Ho tratto un grande insegnamento lungo la mia vita da sacerdote: quando mi sono inginocchiato ho guadagnato sempre, quando mi sono alzato ho perduto sempre. Mi spiego. Inginocchiarsi non è servilismo ma rimanere coi piedi a terra, essere umili, nei confronti dei fratelli. Preferisco quindi inginocchiarmi, cioè scendere al livello del mio fratello che è in errore e cercare insieme la verità, senza imporsi sull’altro. Questo carattere affabile, di animo fine, l’ho appreso dal grande monsignor Michele Cosentino, il quale, anche dinanzi a richieste esigenti dei suoi confratelli, egli riusciva ad essere di animo buono e paterno, pur rimanendo un uomo rigoroso”.
Qual è il dono di cui non può fare a meno?
“Quello della pace. La pace zampilla da quella consapevolezza che si ha in Dio. Se vivo lontano dalla grazia di Dio non sarò in comunione con i fratelli. Pace vuol dire vedere tutto con la luce di Dio. Non saprei stare in urto con i miei fratelli e lontano da Dio. Bisogna prendere esempio dal passo dell’Apocalisse: Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me. Quindi la vera pace vuol dire abbattere le barriere.”
Adesso, rivolga un suo particolare ringraziamento al Signore.
“Sono felice di essere un sacerdote povero in spirito. La mia missione non è stata quella di accumulare ma di servire. Non mi è mancato niente e il passo di Paolo mi incoraggia: gente che non ha nulla e invece possediamo tutto! Voglio ringraziare il Signore perché mi ha dato tanta grazia per capire cosa vuol dire essere sacerdote. Ma non mi sento perfetto ne sono arrivato a quella perfezione che Paolo cita nelle sue lettere, ma il mio grazie è ancora più grande. C’è un racconto che mi ha segnato lungo la mia vita sacerdotale: una volta, nel giorno di Pasqua, un sacerdote si recò da mons. Gesuele Russo – che fu parroco della mia Dagala e poi mio rettore al Seminario. Suonò al campanello e con animo afflitto disse: Padre, nel giorno di Pasqua ho pensato ai fratelli più poveri, ho celebrato la Messa e pregato, ma non ho avuto attenzione per me e sono rimasto senza pane. Mons. Russo non poté restare incantato da quel sacerdote e gli concesse del pane. Ecco, con questo voglio dire a Gesù: grazie, perché nella tua infinita bontà mi hai voluto tuo strumento di salvezza”.
Intervista del 22 luglio 2014 a cura di Domenico Strano