Libri / “Barabba”, l’incapacità di comunicare nel romanzo di Lagerkvist

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BARABBA di Par Lagerkvist

Lagerkvist, scrittore svedese (1891- 1974), premio Nobel per la letteratura nel 1951.
Negli anni ottanta il libro fu suggerito per studio da don Giussani. Quest’anno, per le vacanze, Julian Carron, il suo successore, lo ha nuovamente riproposto.
Chi era Barabba? Bandito e assassino, condannato a morte per sedizione (ribellione) e omicidio, scelto dalla folla al posto di Gesù, graziato e rilasciato da Pilato: ecco, è tutto quello che sappiamo su Barabba dai Vangeli. Che ne sia stato, poi, di quel primo uomo, oggettivamente salvato dalla morte in croce da Cristo, nessuno lo dice.
E’ su quel silenzio che Lagerkvist costruisce il romanzo. Dieci scene scandiscono le tappe fondamentali della sua vita: l’estraneità all’esistenza passata, (dopo essere stato salvato non riconosce più l’uomo che era) l’incontro con Lazzaro, con Pietro, dolorosamente pentito di aver rinnegato il Maestro, con la donna pronta a farsi sua testimone (la Leporina), con il compagno di cella Sahak, sono quasi stazioni della sua personale via crucis che lo porta dal Golgota fino alla prigione a Roma da cui uscirà per subire, alla fine, lo stesso destino che gli era stato assegnato all’inizio.
Manca: la fede e qualsiasi certezza. Il protagonista è una figura eccezionale. Solo, incapace di comunicare con il mondo, senza legami. L’unico suo legame è stato a base di fil di ferro e con un altro prigioniero. Mai un affetto, solo un vago senso di attaccamento molto poco definito con una donna verso la quale ha un gesto di pietà, la Leporina.

Par Lagerkvist

Sahak gli dice – ogni volta che Dio ti è stato vicino tu hai rinunziato a credergli. –  Il finale è lancinante. La solitudine di Barabba si fa assoluta e nella comunanza della sorte resta isolato dagli altri cristiani, quelli veri, che condividono un’amicizia, una fede, parole di reciproco conforto. E’ uno spettatore in quasi tutto il libro: ecco perché è facile riconoscersi in lui.
Lui è escluso dalla comprensione del messaggio cristiano, vorrebbe conoscere ma non capisce la parola “amore” perché nessuno gliel’ha mai insegnata. Continua a osservare e a non capire. La cosa bella è che continua a non capire fino alla fine.
Il finale poi è eccezionale. Tutto il finale: dalla visita al regno dei morti, all’incendio, alla solitudine del destino di Barabba evidenziata dalla comunanza con la sorte degli altri, alle ultime parole gridate alla notte senza nessuna certezza di essere ascoltato “A te raccomando l’anima mia”.

Mariella Di Mauro

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