Don Luigino non era un omone grande e grosso; tutt’altro. Basso, magro e gracilino nel corpo, poteva dare l’impressione di un relitto che persino la morte aveva rifiutato, fino a quando non si aveva la fortuna di accostarlo, di ascoltarlo e di vederlo in azione. Un autentico leone fiero di se stesso, della sua famiglia e del suo popolo che aveva eletto a riferimento primario della sua vita, in coerenza con la sua idea di cristianesimo.
A scanso di equivoci, la vita di don Luigino può riassumersi in due motti: “Dio e Popolo, Pensiero e Azione” e “Idealità, Coerenza e Concretezza”.
Immaginate che faccia avrà fatto il Vescovo di Caltagirone quando questo giovane prete, figlio di baroni e fratello minore, di 10 anni, di un vescovo, gli ha comunicato, con estremo garbo, che non aveva alcuna intenzione di fare il “prete-parroco tradizionale nella Caltagirone agreste e feudale” di inizio novecento, ma di voler fare il sindaco e il consigliere provinciale in un periodo in cui vigeva il “non expedit” e nel momento di transizione tra il Papa della rivoluzionaria “Rerum Novarum“ e della fine della “Opera dei Congressi” e il corso del nuovo Papa, Pio X, tutto da inventare.
Don Luigino era convinto che fare il sindaco fosse la volontà del suo Capo, il povero Cristo, e la volontà del suo popolo. Si badi bene: egli non siconsiderava principalmente come “rappresentante di una fede religiosa” ma piuttosto come rappresentante della sua Comunità con tutti i suoi addentellati.
Il suo “datore di lavoro” era il Popolo nella sua interezza. Non era il Vescovo e tanto meno lo Stato centrale, assente e incapace di ascoltare, capire e rispondere ai bisogni concreti di quella Comunità siciliana.
Il Regionalismo e l’autonomia non erano un optional ma una scelta obbligata.
Don Luigino era fermamente contrario alla creazione di un “partito cristiano” perché il cristianesimo non si può parcellizzare per la sua stessa natura identitaria, come se fosse una “parte-partito”. Il Cristianesimo si relaziona esclusivamente all’intera Comunità che, per sua natura è quindi “laica e pluralista”. Cristo e il cristianesimo rappresentano quindi una “proposta” a cui egli ha fermamente aderito, come uomo, come cittadino e come credente.
Don Luigino era fermamente convinto che ogni azione – politica, culturale, sociale e religiosa – deve avere, come unici referenti, i cittadini-soci della Società – Comunità. Ed è in questa commistione di Pensiero e di Azione, che ha promosso l’azione leader dei sindaci, contribuendo a creare l’ANCI, che possiamo definire come il “Partito dei sindaci”, il partito di don Luigino. ANCI è la sigla di “Associazione Nazionale dei Comuni Italiani”.
Il Partito Popolare Italiano (PPI) a livello nazionale, che egli crea nel 1919, esattamente cento anni fa, dopo l’esperienza disastrosa della grande guerra, deve essere visto come la logica estensione a livello nazionale della sua azione a favore delle Comunità locali.
E nella stessa logica deve essere vista la sua strenua opposizione a Benito Mussolini, al suo partito e al suo Governo, nazionalista, centralista e antipopolare, fino al punto da preferire l’estremo sacrificio dell’esilio per ben 23 anni in pieno dissenso con le gerarchie vaticane che gli avevano già chiesto un anno prima, nel 1922, di dimettersi da Segretario del Partito Popolare Italiano che aveva creato nel 1919 con il famoso Manifesto rivolto agli Italiani liberi e forti che in questi giorni troppi ricordano per tirare Don Luigino per la giacchetta e farlo rientrare nel proprio schema politico.
Una meschineria, distante anni-luce dalla vita di Don Luigino che non volle aderire neppure alla Democrazia Cristiana del dopoguerra, pur essendo stato un simpatizzante dalla nascita, nel 1900, del Movimento che aveva lo stesso nome, quando ancora lo univa una profonda amicizia al fondatore, amico e collega, don Romolo Murri.
Sia chiaro una volta per tutte: don Luigino obbediva a Cristo che riconosceva come suo Capo, fondatore della Ecclesìa e ha sempre preso le distanze dalla gerarchia pontificia quando le scelte della stessa gli apparivano contraddire il pensiero e l’azione del suo Capo. Un dissenso che pagò a caro prezzo fino alla morte avvenuta a Roma, l’8 agosto del 1959 all’età di 88 anni.
Angelo Giuseppe Roncalli, divenuto Papa il 28 ottobre del 1958, decise di visitare il vecchio e fedele “sacerdote di Cristo” e chiedere scusa per le sofferenze inflitte all’uomo santo del Signore e avviò le trattative con la sua Segreteria di Stato e con il Governo italiano. Ci era quasi riuscito quando apprese della morte di uno dei maggiori Giganti del Cristianesimo e del pensiero politico e sociale del Novecento.
Per noi, don Luigino non è morto e costituisce una guida sicura per realizzare una solida politica regionale autonomista, in un contesto nazionale ed europeo, fondata sui princìpi cristiani della solidarietà, della legalità e della giustizia, fondamento della Sovranità popolare, l’unica legittima.
Enzo Coniglio