120 anni fa, il 30 gennaio 1891, nasceva a Linera (allora frazione del Comune di Acireale, oggi di S. Venerina) Rosario Vecchio, autentico poeta popolare perché sapeva esprimere in versi dialettali pensieri e sentimenti con tanta immediatezza da rendere il “messaggio” comprensibile e memorizzabile da parte di tutti.
La più conosciuta delle sue composizioni s’intitola Disfida di la muntagna ccu lu mari (Acireale, Tipografia Popolare, 1914). Si tratta di un poemetto in ottave con versi endecasillabi, che fu originato dalle accese discussioni in piazza sulle cause del maremoto di Messina del 28 dicembre 1908, che alcuni facevano risalire all’attività vulcanica dell’Etna (‘a muntagna), altri a misteriose forze marine. Il successo del poemetto fu tale da renderne necessaria la pubblicazione a stampa. Viveva in una realtà contadina e riuscì a frequentare le prime tre classi della scuola pubblica, si arruolò quindi molto giovane nella Regia Guardia di Finanza; questa esperienza gli consentì di ampliare i suoi orizzonti culturali e sociali e di seguire meglio le novità tecnologiche dei primi decenni del Novecento.
Svolse il suo servizio in Lucania e in Campania, dove apprese perfettamente il dialetto napoletano, ma ben presto dovette lasciare il suo posto di lavoro per assistere gli anziani genitori. Ritornato a casa, si salvò per fortuna dal terremoto dell’8 maggio 1914 quando una trave staccatasi dal tetto fu appena trattenuta da un sacco di farina. Fu quindi richiamato alle armi allo scoppio della prima guerra mondiale: il 24 maggio 1915 si trovava sul Piave, partecipò alla presa di Gorizia e fu ferito lievemente ad un ginocchio sul Podgora. Riammesso subito dopo nella Guardia di Finanza, operò in Sicilia e precisamente nelle province di Messina e Catania, ma la morte del padre e la necessità di assistere l’anziana madre lo costrinsero circa nove anni dopo a lasciare il servizio definitivamente. Si sposò con Angela Leonardi e si dedicò al lavoro dei campi cercando di incrementare le fonti di guadagno con qualche lavoro serale (zoccoli di legno, manici per arnesi di lavoro …). Ebbe quattro figli (oggi tutti defunti): Alfio (morto giovane per leucemia), Rosario (agricoltore), Giuseppe (sacerdote) e Orazio (carabiniere). Nel 1942 trasferì la sua famiglia da Linera a S. Venerina. Il figlio Giuseppe, che nel 2000 curò la raccolta di tutte le composizioni poetiche del padre nel volume “Profumo di campagna”) definiva la vita del padre molto travagliata, “costellata di pene, contrarietà, amarezze e delusioni, bilanciate soltanto dalle soddisfazioni di una famiglia laboriosa ed onesta”, infatti “l’onestà fu il suo fiore all’occhiello. Non era capace d’ingannare o di venire meno ad un impegno …”.
La fatica del vivere, una religiosità popolare “sorretta da fede ferma e genuina” ed un innato umorismo lo aiutarono ad elaborare e a consolidare quella saggezza che esprimerà via via nella sua produzione poetica fino agli ultimi giorni della sua vita. Morì a S. Venerina il 19 luglio 1978. Dall’insieme della produzione poetica emerge un’immagine veritiera della vita di un’epoca ormai definitivamente travolta dal post-industriale, dalla globalizzazione, dal consumismo e dalla complessità multiculturale. Rileggere oggi le poesie di Rosario Vecchio, sempre originate dall’osservazione della vita di ogni giorno, significa soprattutto riscoprire le nostre radici socio-culturali, il “profumo” delle nostre campagne, dei vigneti dell’Etna, ricordare la fatica del lavoro dei campi e i momenti di festa nei nostri piccoli centri di provincia in una sintesi pregevole a livello popolare di ragione, fede e vita.