Nel Salone d’Ercole del Palazzo Reale di Napoli, fino al 29 settembre, una Mostra – curata dal Consolato Generale di Francia a Napoli, dal Comitato Nazionale, dalla Soprintendenza per il Comune e la Provincia di Napoli e dal Polo Museale della Campania, in occasione del bicentenario del Decennio Francese – fa rivivere la storia di Gioacchino Murat, Re di Napoli. Vengono proposti 150 pezzi – dipinti incisioni, porcellane, miniature – molti dei quali provengono da collezioni di musei francesi e vengono esposti per la prima volta in Italia: tra questi due famose spade quella a lama ricurva che Murat impugna nella campagna d’Egitto e la spada cerimoniale da “Maresciallo dell’Impero”.
Avere a che fare con la storia fa sempre bene, soprattutto quando si tratta di una grande storia, come quella di Murat, che segnò in modo inconfondibile quel “decennio francese” che si era aperto nel 1806, quando divenne Re di Napoli Giuseppe Bonaparte, fratello di Napoleone, che regnò fino al 1808. Gli succedette Gioacchino Murat, che regnò fino al 1815. In quel periodo Ferdinando IV di Borbone fuggiva in Sicilia per poi riorganizzare la riconquista del suo regno. Il 13 ottobre 1815 Murat fu catturato e fucilato dai reparti borbonici a Pizzo Calabro ed il Regno di Napoli ritornò in possesso di Ferdinando IV di Borbone, che l’8 dicembre 1816 cambiò nome e prese il titolo di Ferdinando I, Re del nuovo Regno delle Due Sicilie.
In soli sette anni, Murat – che seguì con grande energia le orme tracciate dal suo predecessore – modernizzò il Regno, con una sequela impressionante di leggi, ordinamenti e riforme civili e sociali, ispirate dalla Rivoluzione e dalla Prima Repubblica francese e tali da stravolgere completamente il sistema normativo e legislativo dei Borbone. Perfino il Codice Civile, elaborato in gran parte dallo stesso Napoleone, approvato nel 1804, preso a modello da molti Stati dell’Europa continentale e poi ribattezzato “Codice Napoleonico”, è ancora oggi la base del diritto di molti Stati europei. Murat confermò il cattolicesimo quale religione dello Stato, regolò il diritto ereditario, istituì la dote della Corona, il Ministero e il Consiglio di Stato, un Parlamento di cento membri suddiviso in classi sociali, l’ordinamento giudiziario, norme sul diritto di cittadinanza, garantì il debito pubblico; concesse di vendere ai privati i beni dello Stato e dei soppressi ordini ecclesiastici; aprì il registro delle ipoteche; diede assetto definitivo alle amministrazioni provinciali; iniziò grandi opere pubbliche; prosciugò diverse zone paludose; represse il banditismo in Calabria; riordinò e aprì nuove scuole pubbliche primarie e secondarie, aumentò gli insegnamenti all’Università di Napoli, aprì istituti femminili e scuole gratuite d’arti e mestieri, di nautica, d’agricoltura e, nell’ordinare la coscrizione obbligatoria, eliminò i privilegi dei ricchi borghesi esenti da ogni dovere. Napoli subì una grande modernizzazione e fu ridisegnata dai progetti e dalle trasformazioni urbanistiche volute dal sovrano.
A distanza di duecento anni, si parla ancora di Gioacchino Murat – che pur con le sue ombre, ad esempio la sua appartenenza massonica – è stato forse uno dei Re più giusti, sicuramente più amati dell’intera storia del Sud, dove eliminò i retaggi medioevali: il feudalesimo, i privilegi e i soprusi. Nella sua lettera di commiato alla moglie Carolina, la sorella di Napoleone e ai suoi quattro figli, scrisse: “Mostratevi degni di me”. Non sappiamo, sinceramente, se coloro che hanno governato il Sud nei due secoli successivi, avrebbero avuto il coraggio di scrivere parole di questo genere.
Roberto Rea