Spesso siamo costretti a raccontare o commentare i disastri prodotti o subiti dal Sud. Non lo facciamo di certo volentieri, consapevoli come siamo che solo un miglioramento delle condizioni generali di vita nel Meridione d’Italia può giovare all’intero sistema-Paese. Questa volta, ci fa piacere fare un’eccezione. Ne vale la pena.
Il patrimonio artistico, paesaggistico e culturale del Sud è stato premiato dalla Commissione Europea attraverso il Programma Operativo Nazionale “Cultura e Sviluppo” 2014 – 2020: i fondi comunitari, insieme a quelli nazionali finanzieranno per un ammontare complessivo di 490,9 milioni di euro – 368,2 milioni sono stanziati dalla Ue attraverso il Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr) e i restanti 122,7 milioni sono a carico di risorse nazionali – la valorizzazione dei territori di cinque regioni del Sud (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia) grazie ad interventi di conservazione del patrimonio culturale, di potenziamento del sistema dei servizi turistici e di sostegno alla filiera imprenditoriale collegata al settore.
Come ha giustamente sottolineato il ministro dei Beni Culturali, Dario Franceschini, “è la prima volta che la politica di coesione comunitaria sostiene un programma nazionale dedicato al settore culturale, confermando il ruolo fondamentale della cultura nelle politiche di sviluppo territoriale. Il Mezzogiorno ha così una straordinaria occasione di rafforzare ed implementare il rilancio del proprio territorio attraverso politiche che integrino turismo sostenibile e cultura, secondo una visione e una strategia che vogliamo estendere a tutto il Paese perché fanno leva sui punti di forza dell’Italia”. È una dichiarazione importante, perché per la prima volta – ci sembra – viene individuato proprio il Sud come volano e come esempio per una strategia che riguarda l’intero Paese. Finalmente al Sud viene riconosciuto un ruolo e si punta sulle sue risorse più importanti, quelle che per lungo tempo sono rimaste dimenticate.
I beneficiari delle risorse del Pon sono sia gli enti locali, impegnati nella tutela e nella salvaguardia dei beni storico-architettonici ed artistici, che le imprese – nel numero complessivo di 1.700 – fornitrici di servizi e di tecnologie, impegnate sul fronte dello sviluppo di servizi innovativi anche digitali, sia micro, piccole e medie imprese, che operano nei settori delle attività culturali che nella industria culturale (editoria, radio, tv, cinema), sia imprese del privato sociale o del terzo settore. Siamo quindi di fronte ad un approccio – che oltre a voler incrementare il numero dei visitatori dei poli culturali con un obiettivo del 9% – supera quello tradizionale (il binomio “conservazione-fruizione”) per puntare ad una diversa impostazione: di “produzione/attivazione culturale”, intesa come capacità di generare ambienti favorevoli all’emersione e al trasferimento di innovazione e quindi di produrre nel tempo cambiamenti strutturali. Il 73,8% delle risorse complessive (360,2 milioni di euro) è concentrato sulla valorizzazione degli asset culturali (attrattori) di rilevanza strategica nazionale (musei, monumenti, aree e parchi archeologici, beni del patrimonio storico-architettonico ed artistico) prevalentemente pertinenti al patrimonio culturale statale. Il 23,2% del budget (114 milioni) è messo a disposizione delle piccole e medie imprese. La parte restante delle risorse (16,6 milioni) è finalizzata a perseguire l’efficienza nella gestione del Programma e a migliorare le capacità operative dei soggetti impegnati nella sua attuazione.
La speranza è che rispetto a questa grande opportunità che è stata conseguita, si dismetta la logica dei finanziamenti a pioggia – che spesso nel passato è stata perseguita – ma s’innesti un processo virtuoso e governato con ragionevolezza, l’unico in grado di produrre frutti che possono permanere nel tempo.
Roberto Rea