Don Franco Rimano, arciprete del duomo di Este, scrive al settimanale diocesano “La Difesa del Popolo” e rompe il muro dell’egoismo eretto anche dagli amministratori locali. Racconta la sua esperienza di accoglienza dei migranti (sei giovani ospiti di un appartamento della parrocchia) e chiede alle altre comunità parrocchiali di provarci. E pazienza se arriveranno le critiche…
“Caro direttore, ho appena visto in tv il racconto dell’ennesima tragedia di centinaia di profughi morti in mare e apro il giornale di Padova: leggo che in due comuni ci sono proteste contro l’arrivo dei profughi. Leggo poi la sua risposta sull’ultima ‘Difesa’ dove si domanda: ‘Siccome di profughi ne arriveranno altri, non sarebbe il momento cari sindaci di scommettere sull’accoglienza possibile e non sull’inutile protesta?’. Ritengo che un simile appello si potrebbe rivolgere a ognuna delle nostre comunità: siccome di profughi ne arriveranno altri, non sarebbe il momento care parrocchie di scommettere sull’accoglienza possibile?”.
Inizia così la lettera che don Franco Rimano, arciprete del duomo di Este, ha inviato al settimanale diocesano nei giorni scorsi. Un appello forte, che chiama a un sussulto di responsabilità, sulla base non di slogan ideologici ma della concreta esperienza che in questa cittadina della Bassa Padovana si sta già realizzando da un anno.
“Qui a Santa Tecla – racconta don Franco – abbiamo messo a disposizione un appartamento della parrocchia che ospita sei giovani profughi, che si autogestiscono seguiti quotidianamente da un operatore di una cooperativa indicataci dalla Caritas diocesana. L’integrazione è positiva, problemi di sicurezza non ce ne sono e molti volontari si stanno attivando. Con il contributo dello Stato italiano, che per ogni profugo assicura circa 30 euro al giorno, si paga un po’ l’affitto, si stipendia l’operatore e si assicurano vitto e alloggio a questi giovani. Stiamo verificando un altro immobile, sempre della parrocchia, per poter eventualmente creare un altro piccolo nucleo”.
È il modello che la Caritas diocesana ha definito delle “micro accoglienze”: poche persone da ospitare, in uno stile di vera fraternità, con il coinvolgimento concreto degli operatori pastorali e, attraverso di loro, dell’intera comunità parrocchiale. Una formula che si è dimostrata il migliore antidoto ai rischi che ogni grande struttura porta inevitabilmente con sé. E che rappresenta anche una strada privilegiata per consentire alle comunità cristiane di “toccare con mano” il dramma dei profughi, senza cadere preda delle strumentalizzazioni politiche e dei luoghi comuni che purtroppo vanno monopolizzando l’informazione italiana. Anzi, ribaltando in positivo quell’odioso refrain, “Se ti piacciono tanto i profughi, perché non li ospiti a casa tua?” che impazza sui social network.
E allora, ecco l’appello all’intera diocesi: “Perché ogni parrocchia non può chiedere a qualche parrocchiano frequentante di mettere a disposizione un appartamento sfitto, col parroco che fa da garante e una cooperativa che così può dare lavoro a qualche giovane operatore, che magari nel vicariato segue due o tre di queste micro accoglienze? Non serve chiedere il consenso ai cittadini, basta avere il coraggio di organizzarsi. Facendo un po’ di conti, circa duemila immigrati la nostra diocesi potrebbe accoglierli, diventando così un esempio per tutta l’Italia. Certo avremo una parte dei nostri cittadini contro, ma credo che serviremmo il vangelo in maniera concreta, chiedendo alla politica sostegno a queste micro iniziative. Eviteremmo così tante polemiche o scontri di civiltà e religioni, diventando davvero ‘profeti di incontro e accoglienza’”.
Un appello che non cade nel vuoto, almeno nel tessuto diocesano, dove sono già numerose le parrocchie che in questi anni si sono rese disponibili a progetti di accoglienza grazie al coordinamento della Caritas. Un impegno esemplare, specie perché portato avanti in un clima che si va facendo sempre più difficile. Nei giorni scorsi, nonostante l’impatto emotivo della strage, la riunione convocata dal prefetto a Venezia per concordare l’accoglienza di altri 700 profughi si è trasformata in un muro contro muro: da una parte il Governo, dall’altra Regione, Comuni, Province. Tutti concordi – al di là delle sfumature di tono – nel rifiutare altri arrivi. “Non ce la facciamo, non siamo in grado di ospitare altre persone”, dicono in coro i politici, salvo poi doversi piegare alle decisioni del Governo. Forse, facessero un giro dalle parti di Este, una parrocchia potrebbe aiutarli a capire come si costruisce la vera accoglienza. Concreta, utile e del tutto sostenibile.
Gugliemo Frezza direttore “La Difesa del Popolo” (Padova)