Acicatena / La procuratrice Lia Sava: “Rosario Livatino simbolo di competenza laica e cristianità autentiche”

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convegno legalità Aci Catena Livatino

In occasione della presenza ad Acicatena delle reliquie del Beato Rosario Livatino, il “giudice ragazzino” ucciso dalla mafia e oggi simbolo di giustizia e legalità, il Teatro parrocchiale di Piazza Matrice ha ospitato un convegno dedicato a riflettere sul tema della legalità. L’incontro ha riunito figure di spicco del mondo giudiziario e religioso. Tra gli interventi, quelli di Lia Sava, procuratrice generale presso la Corte d’Appello di Palermo, e dei vescovi Alessandro Damiano e Antonino Raspanti. A moderare il dibattito Mario Agostino, direttore dell’Ufficio Diocesano per la Pastorale della Cultura.

L’intervento di Lia Sava

Introdotta dal moderatore, Sava ha affermato:“Noi cristiani, specialmente se svolgiamo un incarico pubblico, molto spesso noi laici abbiamo quasi timore a dire io sono cristiano, quasi timore a farci un segno della croce in pubblico prima di iniziare un’attività, quasi timore a dire parlando nei dialoghi con colleghi Io sono cristiano, io vado a messa la domenica, io leggo il Vangelo, io cerco di mettere tutto ciò che faccio nelle mani di Dio. Ce ne vergogniamo quasi.

Aci Catena Rosario Livatino

Poi ho cominciato a studiare Livatino, a leggere la sua esperienza, e dentro di me, progressivamente, si è aperto un mondo, perché ho capito che non c’era nulla di male, nulla di cui vergognarsi a dire che sono cristiano, che vado a messa la domenica, che recito il Vangelo, cerco di recitarlo quotidianamente, ma che soprattutto il mio svolgere la professione, il mio essere cristiana non erano assolutamente in contraddizione perché anzi la mia cristianità mi imponeva di accogliere tutti anche i non cristiani, di ascoltare tutti anche i non cristiani perché il primo di tutti quelli che ci ha insegnato, che è venuto per tutti, è stato proprio Gesù”.

Acicatena / L’eredità del Beato Rosario Livatino

“Ho capito solo dopo il senso di quello che diceva il Beato. Svolgeva una professione che impone l’applicazione della legge. Ma ti impone prima di tutto l’ascolto dell’altro. Ho capito il senso dell’impegno massimo di Rosario Livatino nel momento in cui lui rimaneva lì a studiare le carte processuali. Perché lui è il primo che ha capito che dietro quelle carte processuali c’era la sofferenza di un uomo parte offesa, imputato, questioni civili. C’è la sofferenza di qualcuno che merita risposta dietro quel fascicolo. Questo è quello che ci ha insegnato Livatino, ma ci ha insegnato anche altro.

Ci ha insegnato che un magistrato all’interno della società deve comportarsi in un certo modo e il canone fondamentale al quale si deve ispirare è chiaramente la coerenza. Come è credibile un magistrato? Cercando di evitare la rivolta mediatica, cercando di evitare quei salotti che cercano di addescarlo o cercano di inserirlo in contesti che nulla hanno a che vedere con quella imparzialità e libertà che un magistrato deve avere. Tutto questo Livatino lo ha detto nei suoi discorsi, lo ha testimoniato nella sua vita. Livatino è stato coerente anche contro il crimine organizzato, poiché ucciso da persone che cercava di attenzione: poiché legate al vincolo di morte associativo.

Aci Catena Rosario Livatino

Uniti contro la mafia, melma disumana

Non dobbiamo pensare che la lotta alla mafia sia qualcosa di superato. Purtroppo Cosa Nostra è più forte di prima, esiste e si muove nei sotterranei come insetti nella melma. Ha compreso che conviene di più emergersi nella palude melmosa che convivere con una certa borghesia mafiosa e para-mafiosa, che delinea il vero dramma siciliano. Sussiste una borghesia che, da un lato, strizza l’occhio alle manifestazioni anti mafia, e che al tempo stesso, strizza l’occhio al boss di turno, per fare affari. 

Rosario Livatino aveva una volontà in cuor suo, voleva che il proprio futuro e che il futuro del prossimo fosse libero dalla mafia e dal crimine organizzato. Come dicevo, ad oggi, Cosanostra è ancora più pericolosa: mentre ci interroghiamo sul crimine organizzato, investe su traffici di sostanze stupefacenti, sfruttando probabilmente bambini. Il risultato arriverà tramite sommergibili nelle nostre piazze. E sarà proprio un altro bambino, un nostro bambino, a smerciare il crack. A smerciare morte. Non è finita questa battaglia, ma soprattutto non è finita la responsabilità etica, morale che io come Magistrato ho l’obbligo di rispettare. Ma il contratto al crimine organizzato, in onore di quella camicia insanguinata, è un obbligo morale sito in ognuno di noi, indipendentemente dal proprio ruolo professionale. Si deve delineare una scelta netta: o stai con lo Stato o con quella palude melmosa che ti trascina sempre più giù. Questo è l’esempio di Rosario Livatino”. 

Giorgia Fichera