La giornata di venerdì 27 febbraio ha visto come protagonista la seconda edizione della “Conversazione sulla legalità” organizzata dalla Diocesi di Acireale con la collaborazione della Lions Acireale, del Credito Siciliano e dell’Istituto nazionale amministratori giudiziari (Inag) , sui temi del “Sequestro, Confisca, Lavoro”. La conversazione si è svolta in due momenti. La mattina e il pomeriggio con il discorso conclusivo del ministro dell’Interno, Angelino Alfano. Durante la mattinata sono intervenute parola diverse importanti personalità del campo giuridico, economico e amministrativo.
A parlare anche il magistrato antimafia di Caltanissetta Giambattista Tona: «Il primo problema della
confisca dei beni è l’ipocrisia – ha detto il magistrato – una legge emanata nel 1982 ma accettata solo dopo la morte di chi l’aveva ideata, vide la creazione della figura dell’amministratore giudiziario. Nei primi diciott’anni di vita di questa legge nessuno voleva intraprendere la strada dell’amministratore giudiziario, fino a quando hanno visto la quantità dei beni confiscati. A quel punto si sono presentati tutti per fare questo lavoro. Quando confischiamo imprese illecite ed usa e getta, alla mafia facciamo solo un favore. Un’altra cosa che non aiuta ad estirpare la mafia è la creazione delle leggi in base a quello che raccontano le agenzie di stampa. La nostra economia non ha creato le condizioni di mercato che potessero isolare la imprese mafiose. Si doveva creare un terreno ostile che non c’è». Presente anche il Dirigente generale di Pubblica Sicurezza, Filippo Dispenza: «C’è la necessità di rafforzare l’azione internazionale e contrastare il crimine transnazionale e il narcotraffico. La repressione – ha detto Dispenza – deve essere dura, ma la migliore battaglia sta nella formazione dei giovani». Nel processo di confisca dei beni un ruolo importante è appunto ricoperto dall’amministratore giudiziario che deve dire come si deve portare avanti l’azienda: «Queste imprese di solito devono scontare delle spese per tornare alla legalità – ha detto l’amministratore giudiziario, Giusy Bosco – dopo di ché se l’amministratore ha i fondi e l’azienda torna alla legalità si deve pensare a una vita dell’impresa che deve anche guardare anche il tessuto sociale in cui tale impresa è inserita. Il sistema economico dovrebbe iniettare una medicina (come la confisca) per rigenerare i tessuti economici».
Nella discussione pomeridiana, avvenuta nella gremita chiesa di San Rocco di Acireale, interessanti sono stati gli interventi di Umberto Postiglione, presidente dell’Agenzia nazionale beni confiscati e sequestrati, di Giovanni Salvi, preocuratore di Catania, e Davide Pati, coordinatore regionale dei beni confiscati di “Libera”. «Togliere beni ai mafiosi e restituirli alla società: questa è lotta alla mafia! – ha affermato pati. Abbiamo iniziato a sequestrare i beni da Corleone e da lì partì quella rete di realtà sociali che costituì “Libera”. Oggi il numero di sequestri e conquiste ha raggiunto numeri tali da richiedere una strategia nazionale».
Nel pomeriggio è seguito il dibattito moderato dal vescovo di Acireale mons. Antonino Raspanti e al termine del quale è intervenuto il ministro Alfano: «l’Anbsc (Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata) è stata istituita nel 2010 ed ha il compito di mettere a reddito e legalizzare questi beni. Due sono le prospettive entro le quali troviamo queste proprietà – ha spiegato il Ministro – i beni immobili che, se messi a reddito, offrono un lavoro potenziale, e le aziende, le quali, se prive di doping mafioso, forse non riescono a resistere sul mercato meritocratico. Lo Stato deve ripulire il mercato dalla mafia e proteggere i lavoratori onesti. Nell’azione antimafia non c’è distinzione politica». A fine intervento il ministro Alfano e il vescovo Raspanti si sono recati all’episcopio vescovile per un incontro personale.
Ileana Bella