Riflessione / “Cosa può dirci San Sebastiano, servitore dello Stato, contro le pestilenze di oggi?”

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Possiamo permetterci, non solo da cittadini, ma soprattutto da cristiani, per chi ha il dono della Fede, di osservare come una semplice ricorrenza la festa del co-patrono della Diocesi di Acireale, San Sebastiano? E se sentiamo, in qualche modo, interessarci questo momento di evidente predisposizione devozionale della città di Acireale, cosa possiamo apprendere dalla testimonianza di questo importante santo, rispetto alla nostra quotidianità del 2020? Che senso ha venerarlo e con quali reali motivazioni? Accetto l’invito di condividere, da direttore dell’ufficio diocesano della pastorale della cultura, giusto tre brevi spunti che mi auguro, sul piano culturale e sociale, possano essere utili ai personali percorsi di discernimento e interpretazione della figura festeggiata in queste giornate.

San Sebastiano: un servitore dello Stato

Vissuto nella seconda metà del III secolo dopo Cristo, era un militare di fiducia dell’imperatore romano Diocleziano: tra le pochissime certezze storiche, sappiamo quanto fosse fedele e leale allo Stato di Roma con il suo esercizio di guardia imperiale pretoriana, in seguito a capo della coorte degli arcieri. La sua testimonianza, in un settore ovviamente interessato anche da sangue e violenza, narra di un silenzioso dare ragione della sua speranza di cristiano, nonché di una costante e discreta attenzione alla sepoltura dei morti: nessuno dei carcerati e condannati, dunque, era considerato un rabbioso scarto, un rifiuto della società o un essere degno d’essere dimenticato nell’oblio senza alcun riguardo, nonostante gli errori, spesso gravi, ai danni della società. Perché nessun uomo, qualunque siano le sue scelte, nasce e muore per caso.

Questo ricordo può stimolarci ad augurare calorosamente ai servitori dello Stato di oggi quella stessa lealtà; quella stessa presenza responsabile, in nome di una causa più grande di loro, ossia la consistenza del concetto di Stato, specchio fedele di ciò che il cittadino mette in pratica per sé stesso e gli altri; ma anche e soprattutto quella stessa umanità che può concorrere a una società più giusta e fraterna. Al contempo, ricorda al nostro territorio di non fuggire alle proprie responsabilità davanti a quei servitori garanti dell’idea di Stato stesso. Come dimenticare, in proposito, quello spregevole modo di definire tanti fratelli in divisa purtroppo non ancora scomparso: quell’apostrofarli come “sbirri” per un non meglio precisato senso di ribellione all’idea di Stato che rappresentano?

L’azione di San Sebastiano: carità, non vanità

Sebastiano esercitò particolare influenza sui suoi contemporanei attraverso l’attenzione alla carità, espressa con azioni personali e cure rivolte a tanti fratelli in difficoltà. Si tramanda il riferimento ad un importante discorso a Marco e Marcelliano contro la vanità delle apparenze, che avrebbero nascosto il dono della fede e le efficaci azioni di carità verso il vicino che chiede aiuto o bussa alle nostre porte per qualche briciola. Di particolare attualità, se pensiamo alla rilevanza che oggi viene tributata all’apparire attraverso Instagram, TikTok, YouTube o altri social network, ove esiste l’estetica, ma latita l’etica e risultano del tutto mortificate o assenti le relazioni, l’essenza di un contenuto immateriale come la gioia o la reciprocità, della riflessione su un contenuto approfondito, della competenza di una lezione che vuole ore, sudore, esperienze e letture… Sempre che, come spesso e volentieri succede, quanto si nota scorrendo lo smartphone non sia fake news, illusione o finzione. Anche su questo punto, oggi, San Sebastiano può imporci una severa riflessione.

Sebastiano, alfiere contro le pestilenze di oggi

Ritenuto grande baluardo venerato contro la pestilenza di Roma del 680 dopo Cristo, quindi invocato e venerato a partire dal quindicesimo secolo anche dagli acesi, quando il terribile morbo colpiva intere popolazioni, Sebastiano viene ancora oggi festeggiato in un territorio che subisce uno spopolamento non lontano dai vertiginosi numeri provocati dalla peste. Una pestilenza che affligge oggi tutta la nostra Sicilia, non certo nuova, è quella di un’emigrazione senza sosta che colpisce soprattutto le basi del futuro: quelle giovani generazioni che, costrette non per scelta formativa o istruttiva, ma per inaccettabile necessità, a lasciare la loro terra. Giovani e fresche menti che salutano troppo spesso definitivamente la nostra Diocesi e non solo, provocando una desertificazione fisica e spirituale difficile da colmare sul piano affettivo, sociale, demografico ed economico.

E quanta pestilenza c’è oggi in un gioco d’azzardo che, togliendo serenità e preziose risorse economiche e sociali, ma soprattutto relazionali e sanitarie, sottrae in media 1500 euro all’anno ad ogni cittadino italiano? Ebbene, la nostra Diocesi non fa eccezione: quando il piacere di una piccola amichevole scommessa diventa propensione alle Slot machine o gioco d’azzardo costante e inevitabile, dunque patologico, valica i confini dell’attenzione all’altro, soprattutto quello che bussa alla nostra porta o chiede qualche briciola sul ciglio della strada: è una peste che rischia di essere pericolosissima per tante comunità, a cominciare dalla famiglie che ne subiscono il danno.

Ma soprattutto, quale peste peggiore dell’individualismo che rischia di porre i nostri problemi sempre e comunque come più importanti di quelli altrui? Una peste tremenda, quella dell’io egocentrico e indifferente, ripiegato su sé stesso senza alzare occhi e cuore: pronto anche a ignorare i piccoli bisogni che ad esempio un dipendente chiede al datore di lavoro, quando desidererebbe anche solo un’ora in più per dedicarsi ai propri figli troppo soli, o che magari vorrebbe solo essere messo in regola, per non andare al lavoro ammalato e non vivere nella paura di non riuscire a mettere un piccolo risparmio da parte per i propri cari più fragili; o un ego sin troppo pronto a ignorare un bambino che avrebbe solo chiesto di studiare insieme ai nostri figli, aprendo qualche libro in una classe non troppo fredda insieme a loro, e invece è morto lentamente a 50 gradi sotto zero per cercare di viaggiare nel carrello di un aereo, solo perché aveva la pelle nera e non lo conoscevamo, pensando che non fossero fatti nostri o, peggio, pretendendo che se ne stesse a casa sua, anche se lui, una casa, neanche l’aveva più… Quanto abbiamo bisogno oggi, di rivolgere il nostro sguardo a San Sebastiano e chiedere di soccorrerci contro queste pestilenze!

Mario Agostino*

Direttore dell’ufficio per la pastorale della cultura della Diocesi di Acireale

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