“Rex instrumentorum” è una Rassegna organistica internazionale articolata tra Messina, Acireale e Palermo. Dal 7 al 13 luglio, una serie di concerti sono celebrati all’organo con un repertorio storico ricercato.
Ad Acireale l’appuntamento del 9 luglio scorso si è tenuto nell’incantevole scenario della Basilica di San Sebastiano, dove già per la seconda volta, nonostante io abiti a Roma, mi è capitato di assistere a concerti che lasciano di che pensare e riflettere.
Tenuto dal maestro Diego Cannizzaro, organista, musicofilo e musicologo di cui si legge un curriculum davvero sorprendente, il concerto è durato forse troppo poco, meno di un’ora. Avrebbe potuto gratificare ancora per un po’ di quella musica dei secoli che non tramonta mai.
Le suggestioni delle musiche settecentesche
Ma non è sul curriculum di questo musicista che dobbiamo basarci. Oggi la musica ha parlato per lui e per questo veniamo alle suggestioni che ha evocato nel pubblico davvero attento nell’ascolto.
Musica settecentesca e tardo-settecentesca in un contesto che viene definito barocco ma che in realtà ha tutti i lineamenti del rococò e di una bellezza esteriore che si avvicina al razionalismo illuministico vero e proprio. Ma si sa pure che la Sicilia è famosa per il barocco, allora basta che in una chiesa ci sia del colore e dei cromatismi brillanti, subito “alea iacta est” (il dato è tratto).
Cornice ideale per l’ascolto di questi brani che si sono naturalmente connaturati con l’atmosfera della chiesa e le scenografie pittorico-architettoniche che essa lascia godere.
Le musiche attenevano a Giovanni Battista Martini (1706- 1784): Missa Solemnis (Offertorio, Elevazione, Post Communio, Deo Gratias); Josepph Haydn (1732-1809): Sonata in Do maggiore; Anonimo Italiano (XVIII sec) che trascrive “Sonata del Signor Mozart” (più nota come “Eine kleine Nachtmusik”, serenata in Sol maggore: Una piccola musica notturna); Antonino Reggio (n.1725 e morto negli ultimi 15 anni del 1700): Sonata in Re maggiore Hr 56; infine Paolo Altieri (1745- 1820): Sonata per organo (in quattro tempi).
Musiche settecentesche per il “re degli strumenti”
La rassegna si chiama, appunto, “Rex instrumentorum” ed è un titolo pertinente perché l’organo è il re degli strumenti e riproduce nel suo insieme tutta la gamma della strumentazione orchestrale. Include registri fluidi, melodici, metallici, che “friniscono” e sono battenti come le cicale o gli schiocchi di un merlo, l’ugola d’un usignolo o il “fischiettio” di un canarino.
Ogni cosa non è detta a caso perché nel 700 bello, grazia e virtù sono nella natura, come nei giardini inglesi o in quelli italiani, descritti dall’esteta Rosario Assunto di Caltanissetta, del secolo scorso. Bellezza e grazia sono sinonimi nella natura e tutto questo si esprime nell’arte come si esprime nella vita di tutti i giorni e nello stile della vita illuministica.
Quello illuministico è un ideale di godibilità e di progresso che ha segnato l’evoluzione e la trasformazione della vita dell’uomo nel tempo, tanto che tutto era funzionale proprio allo scopo della felicità e di un migliore tenore della vita dell’uomo.
La musica in questo caso contribuisce proprio a ridonare alla storia il grado della simbiosi che accomuna l’espressione dell’uomo con la bellezza e la grazia che egli tenta da sempre di rappresentare.
Tecnica e interpretazione personale di Diego Cannizzaro delle musiche settecentesche
Tutto questo ha saputo ricreare Diego Cannizzaro nella musica che ha offerto e ciò vale più di ogni altro “biglietto da visita”.
Specie in Martini e in Haydn si è percepito lo spirito che vive nella musica. Anche negli altri brani l’organista ha messo in risalto tutto il suo virtuosismo, tanto le sue capacità tecniche quanto l’obiettivo di interpretare secondo una rivisitata interpretazione personale, una musica che altri ripetono secondo cliché prestabiliti.
Tuttavia è apparso troppo ritmato il brano di Mozart, mancando qua e là quella dolcezza che indulge appena ad una sorta di romanticismo mozartiano, e si sarebbero potuti evitare i registri di 4 e 2 piedi, usati troppo spesso, laddove il brano accenna e dipinge la descrizione dell’atmosfera notturna.
L’ultimo brano, quello di Altieri, è risultato un po’ dissimile dagli altri perché incline ad una sensibilità ottocentesca, prova ne sia l’accenno alla tarantella, da lui che era napoletano, nell’ultimo tempo.
Evidentemente si tratta di quel descrittivismo dell’epoca che poi maturerà nella musica a programma dei sinfonisti coevi (Lizt, ad esempio, che esprime le sue teorie nel saggio sull’“Aroldo in Italia” di Berlioz).
Eseguite anche musiche settecentesche di mons. Antonino Reggio
La sorpresa più grande è stata quella di mons. Antonino Reggio di Aci Catena che faceva parte di un ramo cadetto della famiglia nobile dei Campofiorito del vulgato “Principe Riggio”.
Antonino Reggio, cembalista e compositore del Settecento, si sa che fu nunzio apostolico nel 1753 in Portogallo, nel 1763 rinunciò al suo stato di Abate del Monastero di Sant’Angelo di Brolo (Messina) e fu monsignore a Roma dove si spense.
La sua musica si è fatta notare per una tessitura quadripartita in sezioni, anche se non proprio staccata in quattro tempi. Secondo me, qui da apprezzare ulteriormente l’abilità dell’esecutore anche nel farsi da “registrante”, sebbene coadiuvato da un secondo “registrante” allo scopo di dare le giuste sonorità timbrico-sonore al pezzo. Brano sicuramente di non facile esecuzione anche per delle “aritmie”, forme irregolari di “figurazione musicale”, che dovevano essere sicuramente sincronizzate e armonizzate tecnicamente e di colorito dal “suonatore”.
Per ultimo, ma non per mancanza di rispetto, desidero parlare del “Re”; e dire due notizie sull’organo.
Posizionato a ridosso dello spazio absidale, nella sua imponenza sovrasta, dal retro, l’altare maggiore, realizzato in marmo policromo. Quello attuale, sopravvissuto agli acciacchi del tempo a seguito di forti restauri nell’Ottocento e di manutenzione nel Novecento, è un rifacimento di quello del 1744, ripristinato dal precedente dal sacerdote Giovanni Patanè.
L’originalità di esso era un disegno di Pietro Paolo Vasta del 1739, sulle ante che chiudevano la cassa armonica delle canne, rimosse poi alla fine dell‘800.
Dante Cerilli