Acireale / Garitta di Santa Tecla e il signore dei mari

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Ad Acireale, lungo la Riviera dei Ciclopi, avventurandosi sul molo roccioso del porto di Santa Tecla, si trova un’antica torre di avvistamento (o garitta), costruita durante la dominazione spagnola. Un’antica memoria, forse una delle ultime, di un tempo in cui la Sicilia è stata un fiorente centro economico, spesso soggetta ad incursioni da parte dei pirati Ottomani. Ad oggi è un luogo poco conosciuto, ancorato nel passato, in cui andare a contemplarne silenziosamente la bellezza.

Porto Santa Tecla / Garitta di avvistamento

Alle pendici dell’Etna, dopo aver attraversato uno stretto sentiero circondato da fichi d’india e agrumi, si raggiunge uno spuntone roccioso su cui si erge una garitta a pianta quadrata. Questa struttura era molto diffusa in età moderna e medievale. Lo scopo della garitta di vedetta era quello di proteggere le sentinelle di guardia e consentirle una completa visuale dell’orizzonte, in caso di incursione nemica. Tutte le torri erano collegate tra loro e comunicavano utilizzando la luce delle torce o segnali di fumo.

Dominazione spagnola

Durante il periodo della dominazione spagnola, l’imperatore Carlo V, fece costruire numerose torri di avvistamento lungo le coste siciliane, tra cui, nei pressi di Acireale, la garitta di Santa Tecla. Ad oggi se ne possono contare più di duecento. Purtroppo, tra le numerose incursioni, si ricorda quella del 3 maggio 1582. Quel giorno, il celebre pirata Uccialì, sbarcò nella garitta, conquistandola grazie alla sua flotta di sette galee e trecento pirati.

Uccialì, il pirata che visse due volte

Uluch Alì, o Uccialì, è stato un temuto ammiraglio ottomano del ‘500. Pochi sanno che il suo vero nome era Giovanni Dionigi Galeni, originario di Le Castella, in Calabria. Era un giovane di salute cagionevole, che stava per entrare in convento. Nel 1536, a diciassette anni, venne rapito dal pirata Barbarossa e venduto al mercato degli schiavi di Costantinopoli. Il corsaro Jafer divenne pertanto il suo nuovo padrone. Cominciò a lavorare come rematore nelle navi da guerra, ma presto cadde malato. Il corsaro, che spesso si era consultato con il ragazzo, decise di destinarlo ai servizi domestici.

Il signore dei maripirata Uccialì

Giovanni entrò nelle grazie della famiglia di Jafer e il ragazzo finì inevitabilmente per ricevere un trattamento privilegiato. Questa situazione scatenò l’invidia dei due schiavi che lavoravano con lui. Le angherie erano all’ordine del giorno, finchè un giorno lui rispose con un pugno. Il compagno cadde a terra sbattendo il capo e morì sul colpo. Giovanni fu accusato di omicidio.

L’unica via di scampo era la conversione all’Islam, in tal modo non sarebbe stato punibile, perché l’omicidio avrebbe riguardato un infedele. Così ebbe inizio la leggenda. Uluch Alì sposò la figlia dell’ex padrone Jafer e diventò uno dei pirati più sanguinari della sua epoca. Partecipò anche alla Battaglia di Lepanto, di cui fu l’unico comandante turco a sopravvivere. Visse tutta la sua vita solcando il Mediterraneo, luogo di incontro e scontro.

Struttura architettonica

La garitta di Santa Tecla ha una pianta quadrata di 3 metri per lato ed è alta 6 metri. L’abitacolo è composto da pietrame lavico, legato con malta e frammenti di cocci. Ha una copertura a piramide, sovrastata da una volta a vela. Nella parte superiore della torre è presente una sfera di basalto, ed è decorata con quattro merli agli angoli.

Altre garitte nel catanese

La costa ionica è caratterizzata da una alta concentrazione di torri e garitte di avvistamento. Tra di esse Torre Trezza e Torre Faraglione ad Aci Castello e le torri di Capo Mulini. Anche a Catania si trovano delle garitte costruite sul modello di Santa Tecla: le garitte di Piazza Europa, Ognina e Castello Ursino, sono degli esempi storici in ottimo stato. Nella zona di Riposto e Mascali poi, dove sorgeva l’antica Contea di Mascali, i documenti danno per certa la presenza delle famose Sette Torri, purtroppo ora demolite o in pessimo stato di conservazione. Della torre di Riposto resta una lapide commemorativa, molte altre purtroppo sono cadute nell’oblio.

Cristina Di Mauro

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