Pubblichiamo il testo integrale dell’omelia pronunciata dal vescovo di Acireale mons. Antonino Raspanti il 26 maggio in Cattedrale durante la Messa del Crisma.
“Eminenza, Eccellenze, carissimi Presbiteri, Diaconi, Fedeli,
Non sottolineo ulteriormente la singolarità di questa Messa, quanto piuttosto la vivo con voi alla maniera dei due discepoli sulla strada per Emmaus, ai quali il cuore arde perché Gesù aprì a loro l’intelligenza delle Scritture, spiegando tutto quello che in esse si riferiva a lui. Come loro, noi conversiamo (il testo greco usa il verbo ὁμιλεῖν) su quanto è accaduto in questi mesi e sul come leggere il messaggio divino per la Chiesa e per il mondo. Iniziai con voi questa conversazione al mattino del Giovedì Santo; l’abbiamo continuato a telefono e in alcuni incontri tenuti su piattaforma digitale. Oggi assumiamo un primo sguardo prospettico, che ci lancia oltre i tempi di Quaresima e di Pasqua verso il tempo ordinario, che speriamo divenga ordinario anche nella vita sociale.
Se il centro di questa celebrazione è la missione salvifica di Gesù, ci chiediamo quale strada essa indichi alla chiesa in tempo di pandemia e nella susseguente crisi morale, economico-sociale e culturale che si squaderna sotto i nostri occhi in modo più evidente del solito. Ripercorriamo l’evoluzione dei nostri stati d’animo: dall’incredulità e dalla sottovalutazione degli inizi ci siamo inoltrati nel silenzio oscuro dell’intera Quaresima e della Settimana Santa fino al riaccendersi della speranza e della vitalità pasquali.
Accompagnano i sentimenti provati in quei giorni le immagini televisive del Pontefice in preghiera e quelle dei nostri piccoli ambienti, fatti di telefoni cellulari, di collegamenti digitali, dati e commenti che si susseguono martellanti. L’interdizione nei luoghi classici dell’attività pastorale e sacramentale con i fedeli è stata per noi il cambiamento più incisivo; ad essa si è contrapposta un’accentuata visibilità mediatica e una richiesta di preghiera e di sante messe.
Come a molti di voi sarà capitato, sono tornato costantemente a riflettere sulla sacramentalità della chiesa e sul valore del nostro ministero nell’orientare il cammino del popolo sacerdotale. Mi sono ricordato spesso del richiamo di Papa Francesco sul rischio di un nuovo gnosticismo nell’evaporazione digitale della liturgia.
Il testo odierno dell’Apocalisse ci presenta il Cristo trionfante e sovrano cosmico, titoli che potrebbero avere delle parentele con il super-mondo pretenziosamente conosciuto dagli gnostici, ma che da esso è ben distante perché di lui si proclama la visibilità storica e il sacrificio cruento. Egli è sì il sovrano dei re della terra, l’alfa e l’omega, ma non è altri che quel Yahweh rivelatosi nella storia d’Israele, perché “Colui che è, che era e che viene” è lo sviluppo del nome proprio di Dio rivelato a Mosè.
Egli è soprattutto il “testimone fedele”. Il fedele (ὁ πιστός) è colui che è degno di fiducia e attendibile; perciò la sua testimonianza è affidabile. Questa testimonianza (ὁ μάρτσς) è la sua incarnazione culminante nella passione del martire. Il sacerdozio regale dei fedeli si innesta in questa testimonianza di sangue che è stata anche la liberazione e la vita per noi e per il mondo. Noi possediamo questa vita, la quale non è più soggetta alle grinfie maligne delle tenebre, e la possediamo nella fede alla testimonianza di Gesù. Solo alla fine, quando egli verrà con le nubi, cioè circonfuso di gloria divina, ogni occhio lo vedrà, compresi quelli che lo trafissero.
Oggi i nostri occhi, come quelli di ogni uomo, vedono soltanto l’avvicendarsi di dolore e morte con gioie e speranze; oggi siamo esposti ai continui assalti del mondo, come lo fu Gesù nella sua esistenza terrena. La visione della gloria del Figlio non ci è, nondimeno, del tutto preclusa quaggiù; essa è donata all’occhio che guarda il Logos incarnato.
Noi potremmo dire: all’occhio che vede lo Sposo vivo e amoroso in ogni avvenimento terreno; questa è fede viva e libera. «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato»: non risuona per noi in questo tempo tale parola?
Se la fede non si scioglie dalla parola del Testimone attendibile, questa parola la celebriamo come Corpo del Capo, quindi la celebriamo con lui nella liturgia, nell’incontro con lui e tra di noi. Paradossalmente nei mesi scorsi e in parte ancora adesso, per preservare il dono della vita terrena abbiamo dovuto astenerci proprio da questo incontro vitale, siamo dovuti passare per una distanza che obbliga a intendere meglio quanto siamo legati in un’unità superiore. Sembra che Dio ci inviti a entrare con decisione nel mistero, a un percorso mistagogico, come siamo abituati a dire, simile a quello che Gesù fece compiere alla Samaritana, parlando di un’altra acqua, che zampilla per la vita eterna, o al popolo ebraico, parlando non del cibo che perisce ma di quello che sazia per sempre.
Anche a noi egli dice nei giorni della pandemia che siamo stretti e uniti in lui, pur dovendo stare lontani, siamo insediati nella vita e risorti con lui, pur vulnerabili al dolore e alla morte, siamo liberi nelle infinite dimore della casa del Padre, da lui a noi guadagnate, pur costretti a rimanere chiusi nelle nostre misere dimore terrene.
Il segno e la visibilità in questo tempo pandemico si sono assottigliati, mostrando così che non sono il fondamento, ma si sostengono in altro, in ciò che non si vede, eppure è ben presente e reale. Questo altro è chiamato solitamente Dio e Spirito da tutti gli uomini. Non solo noi lo crediamo e affermiamo con tutte le grandi religioni e filosofie, ma sappiamo che Gesù il Cristo è la pienezza della divinità ed è il Signore del creato perché è il primogenito dei morti, cioè colui che ha assicurato alle fragili creature un permanere oltre la morte: «Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano».
Questo noi sappiamo nella fede e di questo siamo testimoni e annunciatori. Per questo anche non disprezziamo ma onoriamo questo misero corpo, nostra dimora terrena; è un dono tramite cui manifestiamo il nostro amore a Dio e tra di noi.
Anche per noi la testimonianza implica tratti martiriali, quel martirio della quotidianità, del sacrificio piccolo e diuturno, che esige di andare incontro alle incertezze del futuro con sereno coraggio. Per la nostra terra il prossimo futuro si prospetta più povero e con più ostacoli; non ci spaventa! Riformeremo le nostre abitudini insieme a tutti i concittadini, ma soprattutto diverremo più attenti al limite. Il limite è la nota fondamentale della creatura; esso si presenta a noi spesso sotto forma di osservanza delle regole, delle leggi e delle norme, civili ed ecclesiastiche. L’autentica rinascita che abbiamo auspicato venisse fuori dall’esperienza pandemica parte proprio dalla riforma di se stessi, dal riconoscere il limite e dal prefiggersi di stare dentro regole e limiti, che abitualmente non decidiamo noi, lasciandoci alle spalle torpore e accidia che rendono poco credibile la nostra testimonianza.
Come consuetudine in questa messa, abbiamo la gioia di ricordare alcune significative date nella vita dei confratelli.
Compiono 60 anni di sacerdozio:
Diego Sorbello (1960 – 13 marzo – 2020)
Don Giuseppe Cardillo (1960 – 14 agosto – 2020)
Mons. Rosario Di Bella (1960 – 14 agosto – 2020)
Don Stefano Presti (1960 – 14 agosto – 2020)
50 anno di sacerdozio:
Don Sebastiano Saturnino (1970 – 15 marzo – 2020)
25 anni di sacerdozio:
Don Giuseppe D’Aquino (1995 – 10 settembre – 2020)
Don Mario Arezzi (1995 – 16 settembre – 2020)
Don Vincenzo Calà (1995 – 23 settembre – 2020)
Don Salvatore Blanco (1995 – 7 ottobre – 2020)
Il 4 gennaio scorso abbiamo ordinato presbitero Don Rosario Pappalardo.
Tra i Vescovi:
Mons. Giuseppe Malandrino – 40° di episcopato (26 gennaio 2020)
Mons. Salvatore Gristina – 50° di sacerdozio (17 maggio 2020)
Mons. Paolo Urso – 80° compleanno (17 aprile 2020)
Diaconi permanenti:
Mario Finocchiaro – 25° di ordinazione (1995 – 22 ottobre – 2020)
Salvatore Troianini – ordinazione (18 gennaio 2020)
Defunti dal Giovedì Santo 2019
Don Attilio Gangemi – 21 ottobre 2019
Giuseppe Iacona camilliano – 28 dicembre 2019
Don Salvatore Pappalardo 6 febbraio 2020
Desidero infine ringraziare voi tutti, carissimi presbiteri, per la generosa iniziativa di solidarietà che abbiamo insieme intrapreso per esser vicini con la nostra personale offerta a chi sta soffrendo indigenza a motivo del virus. Alla prima assemblea di clero comunicherò la cifra di denaro raccolta e decideremo insieme come destinare il fondo. Sabato prossimo, in modo anch’esso insolito, celebrerò la veglia di Pentecoste, organizzata come sempre dalla Consulta delle Aggregazioni Laicali, alle 20:30 in questa Cattedrale e la trasmetteremo in diretta streaming.
Chiedo a tutti di invocare uniti con Maria lo Spirito, affinché ci dia il coraggio di continuare il santo viaggio verso Gerusalemme con slancio e gioia, come quei due di Emmaus.