A piazza Dante, Acireale, da qualche anno le due parrocchie, Cuore Immacolato di Maria e Sacro Cuore, sono state unificate. Il parroco è padre Gabriele Patanè ed è coadiuvato da padre Salvo Grasso, il viceparroco. Sono tante le attività che svolgono e si può dire che la parrocchia è un cuore pulsante della città. Ne abbiamo parlato con padre Gabriele.
Come avete fatto ad amalgamare le due parrocchie?
Riunificare le due parrocchie è stata una cosa difficile ma molto bella, perché pensare il quartiere come due realtà divise era assurdo. Tra l’altro, la chiesa del Sacro Cuore è stata realizzata come parrocchia temporanea non essendoci nessuna chiesa in un quartiere in espansione. Questa chiesa era di pertinenza del convento delle suore della Visitazione, purtroppo chiuso da oltre un anno, e si decise, momentaneamente, di renderla parrocchia.
La parrocchia diede, sin da subito, la possibilità di dare assistenza spirituale e religiosa agli abitanti. Intanto si attendeva la costruzione della chiesa del Cuore Immacolato di Maria che doveva sorgere nel cuore della piazza centrale, proprio alle spalle della stele. Poi, per motivi di spazio, l’edificio fu costruito un po’ più distante. Era quello l’edificio sacro destinato ad essere l’unica chiesa parrocchiale di piazza Dante.
Ma poi, il parroco che diede l’avvio alla nuova chiesa, che era il parroco storico del Sacro Cuore, padre Micalizzi, essendo legato alla prima struttura non volle accettare le due chiese come unico organismo. A seguito di ciò, il Vescovo mandò il vice parroco, padre Caltabiano, a presiedere la parrocchia del Cuore Immacolato e vi rimase per oltre 40 anni. Più volte la congregazione per gli ordini religiosi, come si evince dai documenti, scrisse ai vescovi di sopprimere la parrocchia. Ma poi di fatto non si fece nulla.
La gente come ha reagito all’unione di queste due parrocchie?
La gente ha partecipato anche se, a tutt’oggi, un’amalgamazione piena non è avvenuta. Le due identità erano già formate da decenni. Da quando è stato deciso di unificare le parrocchie, per primo è stato il nostro vescovo, che ha cercato di far capire che il disegno, fin dall’inizio, era quello di una sola parrocchia. Era passato parecchio tempo ma, finalmente, il progetto era stato messo in atto.
Voi realizzate delle iniziative importanti. Come coordinarle nelle due parrocchie che sono piccole comunità?
Non è mai facile, perché dove esistono gruppi sussiste sempre la radice e quindi l’indole a creare settori e cammini particolari e personalizzati. Sicuramente ogni gruppo ha un carisma e una certa identità e quindi è una ricchezza. Per noi farli lavorare insieme è sempre una grande sfida, però cerchiamo di far capire che ogni gruppo può dare il suo apporto nella costruzione dell’intera comunità. Che poi il tutto confluisce nello sviluppo sociale e culturale del quartiere.
Se abbiamo a cuore il quartiere, con i suoi luoghi, i suoi spazi, le sue relazioni, le sue difficoltà, le sue fragilità, le sue emergenze, questo è un lavoro che può dare i suoi frutti: ma solo se si fa squadra insieme. Non è un lavoro di un gruppo o del solo parroco ma è un lavoro di tutta la parrocchia. Anche se emergono le resistenze degli egoismi. Ma noi abbiamo fede e ci lavoriamo.
Molto interessante è stata, tra le tante vostre attività comuni, la marcia dei Santi.
La festa dei Santi è una delle tante attività che hanno funzione educativa per i nostri fedeli. Noi non vogliamo far dimenticare ai ragazzi altre tradizioni che importiamo, giuste o sbagliate. Noi cerchiamo di sottolineare il patrimonio culturale e religioso che abbiamo ricevuto e che rischiamo di mettere da parte. Non dobbiamo farlo soppiantare da altre tradizioni, che hanno il loro valore nei luoghi dove sono nate, a discapito di memorie tramandate dal cristianesimo e dalla santità.
Abbiamo organizzato la così detta “Marcia dei Santi”. I bambini, vestiti da “Santi” e opportunamente istruiti, insieme a noi ed alla comunità, hanno percorso le strade acesi dal Santissimo Salvator al Cuore Immacolato. E’ stata una gran bella festa che difficilmente dimenticheranno.
Sicuramente sia lei che padre Salvo siete agevolati dal fatto che siete giovani e con tanto entusiasmo e, soprattutto, forza.
Penso che essere giovani aiuti ma quello su cui puntiamo è la testimonianza nello stare in mezzo ai fedeli e far capire che non siamo dei super eroi ma degli esseri umani come tutti. Spesso la gente si costruisce un’immagine idilliaca del prete. Noi siamo pastori e guida della comunità, ma siamo, allo stesso tempo, anche noi figli della Chiesa, battezzati con tutti i battezzati della comunità.
Purtroppo regna ancora l’idea dei sacerdoti che comandano, mentre il sacerdozio ministeriale è a servizio di quello battesimale affinché la chiesa sia presente in tutti gli ambiti. Purtroppo lo spirito conciliare del Vaticano II ancora stenta a nascere nelle comunità, nonostante siano passati decenni. Nei fedeli rimane l’immagine del vecchio sacerdote accentratore. In verità il sacerdote deve andare incontro alla gente in questo cammino che vuole la Chiesa presente in tutti gli ambiti, anche tra i più deboli.
Il quartiere ha tante positività ma anche tante fragilità
Nei due anni in cui ho presieduto la comunità ho realmente trovato tante fragilità e carenze culturali con le relative conseguenze: ragazze madri, spaccio di droga, festini inspiegabili con fuochi d’artificio. E’ un grave danno e ci rendiamo conto della mancanza delle istituzioni. L’arredo urbano è lasciato andare. Abbiamo alcune associazioni che nei quartieri sono fondamentali, tra cui quella del Cuore immacolato che è la “Scopus”, con le quali abbiamo più volte chiesto al sindaco una riqualificazione a livello urbano e una manutenzione più costante degli spazi. Purtroppo si interviene più sul centro tralasciando i quartieri con le loro fragilità.
Le famiglie giovani partecipano?
Ci sono famiglie giovani davvero graziose con un rinnovato interesse per la parrocchia. Alcuni si avvicinano quando portano i bambini per il catechismo e poi si fanno coinvolgere dalle attività. Spesso sono attratti perché trovano una chiesa diversa da quella che ricordavano, perché più accogliente e vicina a loro e da questo rimangono affascinati. Unico neo è che, figli di questo tempo, difficilmente fanno il passo di un’appartenenza più forte alla comunità: l’impegno, spesso, fa paura. Questo accade anche con i più giovani: si vuole essere liberi da tutto con il rischio di non scegliere nulla.
I giovani sacerdoti, avvicinandosi ai ragazzi, non rischiano di allivellarsi troppo a loro?
In questo c’è del vero. Anche noi, quando usciamo con i ragazzi, abbiamo la voglia di andare loro incontro. Però, riusciamo ad intuire che i giovani in noi percepiscono qualcosa in più. Non siamo soltanto fratelli, ma possediamo quello spirito di paternità che ci viene dato dal nostro ministero e ne hanno bisogno perché siamo per loro delle guide. Il ruolo è sempre fondamentale e non deve mai passare in secondo piano. Sarebbe solo impoverire la nostra presenza.
Mariella Di Mauro