E’ stato presentato ieri sera nella Cattedrale di Acireale, su iniziativa del Circolo Santa Venera, il saggio dal titolo “Santa Venera di Taormina: la storia dimenticata dei suoi martiri e delle sue acque miracolose”, frutto dello studio realizzato da Aurelio Grasso, don Giuseppe Guliti e Marco Palermo. Il volume si compone di due parti: un’introduzione alla lettura del testo e la trascrizione letterale del manoscritto – oggi conservato presso l’Archivio Storico Nazionale di Toledo in Spagna – redatto nel 1608 dall’Arciprete di Taormina Melchiorre Coniglio e riguardante gli eventi miracolosi che si stavano verificando presso l’antica chiesetta di S. Venera, sita nel territorio taorminese. “Una pagina inedita tra realtà storica e ipotesi di ricerca”, l’ha definita nel suo intervento don Giuseppe Guliti, vice cancelliere della diocesi di Catania, il quale ha preso per primo la parola dopo l’introduzione della prof.ssa Cettina Rizzo. Il dott. Marco Palermo ha, successivamente, relazionato sul ritrovamento del manoscritto di Melchiorre Coniglio, già appartenuto ai Marchesi di Farias, presso l’archivio spagnolo. Aurelio Grasso ha, quindi, sviluppato il suo intervento, dal titolo: “Il manoscritto di Melchiorre Coniglio: cronaca di vita quotidiana e senso religioso nella Sicilia del XVII secolo” (Grasso).
Il documento, composto di venti pagine (dieci fogli recto e verso), è la relazione minuziosa delle inspiegabili guarigioni operate da una fonte d’acqua prodigiosa, che scaturiva nelle vicinanze della chiesa, del successivo rinvenimento attorno ad essa di numerosi resti umani di persone che verosimilmente avevano subito il martirio, e di come si diffuse rapidamente nella città di Taormina e in tutta la Sicilia la notizia dei miracoli che ivi si stavano verificando. Tale resoconto costituisce l’atto iniziale di una meticolosa istruttoria canonica avviata dall’Arcivescovo di Messina, mons. Bonaventura Secusio, che si concluse alla fine del Seicento con l’emanazione di un breve apostolico che decretò solennemente la venerabilità di quelle reliquie, identificate come quelle dei santi Corneliano, Sepero e compagni martiri taorminesi (II secolo). Alla luce di quanto è contenuto nel documento ritrovato, pero, tale conclusione appare oggi poco probabile poiché nella narrazione vengono descritti pure gli oggetti che costituivano il corredo funebre di quei corpi straziati (“paternoster”, croci e “corregge” in uso negli ambienti monastici di epoca medievale), i quali non potevano certamente risalire ai primi secoli del cristianesimo. Più probabile, invece, collocare la storia di quei martiri nel periodo a cavallo tra la dominazione bizantina e la conquista degli arabi. Un chiarimento decisivo potrebbe venire dall’analisi delle suddette reliquie, che in seguito furono racchiuse in tre casse, ancora oggi custodite nel retro dell’altare maggiore del duomo di Taormina. L’ultimo degli interventi programmati, realizzato congiuntamente da don Giuseppe Guliti e da Aurelio Grasso, ha riguardato le relazioni e similitudini intorno al culto di Santa Venera in Aci e Taormina, un culto di chiara origine bizantina.
Guido Leonardi