Sembra una piazza in festa, il chiostro dell’ex convento dei Domenicani che per molti anni ha ospitato il liceo classico “Gulli e Pennisi”, per via di tutte le persone e dei molti scout in uniforme che girano per i vari stand delle associazioni di volontariato allestiti tutto intorno allo spiazzo. Poi sotto i portici c’è la mostra itinerante dedicata ai paesi del Terzo Mondo, che propone varie immagini sul tema dei migranti. Si presenta così la manifestazione “Per la Pace e la Fratellanza dei popoli”, organizzata dal comitato scout della Zona Galatea, che si è ispirato per il titolo alla Marcia della pace Perugia-Assisi in programma domenica 25 settembre e di cui ricorre quest’anno il cinquantenario.
Ma quando Ciccio e Pippo (capi scout della Zona Galatea) presentano suor Eugenia Travierso, tutti prendono posto nelle sedie che riempiono il centro dello spiazzo e ascoltano in silenzio e con attenzione le sue parole. E lei comincia ringraziando; ringrazia tutti: i presenti, gli amici, gli scout che l’hanno invitata per la seconda volta e che con le offerte raccolte due anni fa, in occasione della sua prima venuta ad Acireale, hanno permesso la costruzione di un’aula scolastica in Congo. E poi, mentre su un maxischermo scorrono le immagini, suor Eugenia, con volto sorridente e voce calma, comincia a parlare dell’Africa, della “sua” Africa, quella dove è stata per tanti anni come missionaria e dove spera di tornare da un momento all’altro. E’ l’Africa della Repubblica Democratica del Congo (ex Congo Belga o Zaire), quella che suor Eugenia conosce bene, dove ancor oggi c’è la guerra, guerra interna, guerra tra bande rivali, guerra tribale, guerra tra esercito regolare e gruppi di ribelli. Guerra che rende comunque molto instabile e precaria la vita delle popolazioni locali.
Parla soprattutto della situazione sanitaria e della situazione scolastica. La sanità praticamente non esiste, e se qualcuno è costretto ad andare in ospedale, deve fare a volte anche 80 chilometri a piedi per arrivarci, e poi deve portarsi con sé tutto, anche il letto ed i medicinali, perché in ospedale non c’è niente ed i medicinali si devono comprare per strada e ci sono bambini che ne fanno contrabbando. E poi bisogna pagare: ognuno dà quel che può (se può, perché ci sono famiglie che vivono con un dollaro al giorno). Ma in cambio accolgono tutti, in ospedale, senza fare distinzioni di tipo religioso, tranne negli ospedali metodisti, dove accolgono solo i metodisti. Nelle scuole gli insegnanti non vengono pagati dal 1990 e le famiglie che vogliono mandare i figli a scuola devono pagare un dollaro al mese. La guerra dura ormai dal 1994, e la persona umana non esiste più: per questo ci sono i bambini-soldato, e alcuni gruppi ribelli usano come arma anche gli stupri di massa, per annientare la personalità.
E a questo punto suor Eugenia perde un poco la sua calma e comincia a sparare a zero, anche contro chi dovrebbe difendere la persona umana ed i suoi diritti e non lo fa: e in questo conto ci sono pure organizzazioni internazionali e stati importanti, che presentano al mondo una realtà diversa da quella reale. Il Congo è un paese ricco, perché produce diamanti, ma non quelli preziosi, bensì i diamanti duri, quelli che si usano per le apparecchiature elettroniche e che sono tanto richiesti dalle industrie occidentali. Ma, dicono laggiù, “La nostra ricchezza sarà la nostra tomba”, perché se ad un operaio danno un dollaro per il suo lavoro, chi glielo dà ci guadagnerà su almeno 200 dollari.
Per questo “bisogna avere il coraggio di credere nella fratellanza” – dice suor Eugenia – perché, come dice un proverbio africano, “Sulle ginocchia di una madre si costruisce l’avvenire di un paese” e “La pace – conclude – non è un frutto, è un seme”. E lancia pure una provocazione, in conclusione. Propone, ai ragazzi che conseguono la Maturità, di farsi fare un regalo speciale: un viaggio in Africa, per conoscere una realtà sconosciuta ai più e per vedere in una luce diversa tante cose che nel mondo occidentale si danno per scontate, come lo spreco dell’acqua, l’“oro blu”.
Torna a sorridere, suor Eugenia, con il volto e con gli occhi, ma si capisce che la sua mente è là, dove, a otto ore soltanto di aereo, ogni sei secondi un bambino muore di fame.
Nel frattempo nel chiostro si diffondono l’odore di “engera” e “zighinì”, piatti tipici dell’Eritrea preparati da alcuni immigrati, e le musiche del gruppo senegalese “African Nguewel Group”. Mentre il bottiglione posto sul tavolo all’ingresso si va riempiendo con le offerte di solidarietà per le missioni del Congo. La pace è un seme…
Nino De Maria