Il delicatissimo confine tra accanimento terapeutico ed eutanasia come chiave di riflessione, la sera del 14 marzo alla Villa Belvedere di Acireale, in occasione dello Spettacolo Teatrale Sperimentale “Amore” promosso dal progetto “Mese della Cultura“ dal comune di Acireale. L’opera, scritta e diretto dal regista Mario D’anna, autore di scrittura creativa dalla fine degli anni 70’, è stata recitata dagli artisti performativi Alosha, Mimishka e Latifa (qui un brevissimo estratto video della serata).
Acireale, Lo Spettacolo “Amore”: una rappresentazione sull’eutanasia
Nel mondo del teatro contemporaneo, pochi argomenti suscitano dibattiti così profondi e delicati come l’eutanasia. Mario D’anna, regista e sceneggiatore noto per la sua sensibilità e le sue produzioni creative e riflessive. Ha messo in scena il suo ultimo lavoro teatrale, intitolato “Amore” riadattato su opera teatrale, con l’ aggiunta di voci fuori campo, voci recitate e immagini proiettate sui corpi contornati da danza e musica in un’atto unico di 50m. Una composizione completa per dare una suggestione sul tema culturale molto delicato come l’eutanasia, intitolato da lui come “AMORE”, perché rappresenta il gesto di forza e coraggio di saper abbandonare ad una “morte dolce” – mano nella mano – i propri cari.
Per Mario D’anna, la scrittura è un processo che “nasce insieme a me, che necessita di un lungo travaglio interiore”. E’ uno spettacolo che non solo sfida il pubblico con il suo particolare gesto, ma getta anche una nuova e insolita luce sull’eutanasia intesa come fine di un accanimento terapeutico. Presentandola come un atto di amore e un importante aspetto culturale da esplorare, lasciando ampio spazio di riflessione agli spettatori. I corpi raccontano una storia anche tramite la suggestiva carica della voce, in un “mosaico di percezioni“, che cerca di arrivare al cuore. “Mi aspetto solo la possibilità di trasmettere un’emozione, che sia un’emozione di dolore, di angoscia o anche di amore”, la speranza di D’Anna.
Acireale / “Amore”: lo spettacolo che fa riflettere sull’eutanasia come gesto di amore
L’opera di D’anna esplora l’eutanasia non come una semplice decisione medica, ma piuttosto come un gesto estremo di amore e compassione. Attraverso movimenti coreografici intensi e una narrazione emotivamente coinvolgente, lo spettacolo offre uno sguardo intimo e personale sulle sfide e le complessità di prendere una decisione così difficile per un essere amato. Ciò che distingue “Amore” dagli altri spettacoli che trattano argomenti simili è la sua capacità di spingere il pubblico a riflettere sul significato culturale di eutanasia ed accanimento terapeutico.
D’anna non si limita a presentare un punto di vista unilaterale, ma piuttosto offre una panoramica delle diverse prospettive culturali e etiche che circondano questo tema delicato. Attraverso un mix di musica, movimento e parole, l’opera invita il pubblico a esplorare le proprie convinzioni e a confrontarsi con le domande difficili che l’eutanasia solleva nella società contemporanea. In un momento in cui l’eutanasia continua a essere oggetto di accesi dibattiti politici e morali, “Amore” di Mario D’anna offre una prospettiva unica e provocatoria su questo tema universale.
Con la sua combinazione di estetica innovativa e contenuti profondamente significativi, lo spettacolo si rivela un’esperienza teatrale che non solo intrattiene, ma anche stimola il pensiero critico e promuove la comprensione e l’empatia nei confronti di una questione così complessa e delicata. “Ho stravolto in due anni la scrittura e l’adattamento dell’opera, con i performer mi sono trovato in perfetta sintonia, con la sorpresa e la sperimentazione artistica anche da parte dell’artista Alosha che ha portato da performer in giro la sicilianità cantata e danzata”.
Acireale / Lo Spettacolo “Amore”: oltre l’eutanasia, Famiglia, Fiducia e Verità
Ogni membro del cast rappresenta un ruolo all’interno della famiglia, e questo si riflette nelle loro interazioni sul palco. Ci sono gesti di affetto, sguardi di comprensione e momenti di conflitto che si manifestano attraverso il linguaggio del corpo e delle espressioni facciali. Gli attori lavorano insieme in armonia, creando un’atmosfera che fa sentire il pubblico parte integrante della loro famiglia che oltre che immaginaria è reale. Infatti il legame tra i performer non si limita al palcoscenico. Molto del lavoro di preparazione coinvolge la creazione di un ambiente di fiducia e sostegno tra di loro, proprio come quello di una vera famiglia. Questo si traduce in una maggiore autenticità sul palco, dove le emozioni sono genuine e palpabili.
Attraverso il loro impegno e la loro abilità, gli attori riescono a trasmettere al pubblico l’importanza e la complessità delle relazioni familiari. Essi dimostrano come l’amore, la compassione e la comprensione possano superare le sfide più difficili, anche quelle legate alla fine della vita. In questo modo, il cast di “Amore” non solo intrattiene il pubblico, ma offre anche una preziosa riflessione sul significato più profondo dell’amore e della famiglia. “Ho provato una tensione insolita – racconta Alosha – perché a rappresentarsi su un palcoscenico con la moglie e la figlia è stato difficile da un punto di vista emozionale, l’impatto però di quell’emozione, poi svanisce totalmente appena sei in scena perché incarno il personaggio. Magari è un’abitudine che io ho per il lavoro che faccio”.
Acireale / Teatro-danza: lo spettacolo tra “Amore ed Eutanasia” come inno alla libertà
Svolgere un’attenta analisi sui significati profondi sul tema culturale del confine tra accanimento terapeutico ed eutanasia non è semplice. Però forse amare significa avere la forza di saper lasciare andare, di saper donare la libertà, anche quando il distacco ci lascia un immensa voragine dentro. L’esperienza dell’artista Alosha incarna perfettamente il ruolo del protagonista Harry scelto dal regista Mario D’Anna per trasfigurare il testo in vivide rappresentazioni. “Il personaggio di Harry – afferma il danzatorie – l’ho identificato subito molto in mio padre, per esempio. Come dare dignità a una persona che chiedeva aiuto. Ma in questo caso, lo Stato Italiano invece, non dà il permesso per questo aiuto. Io ho vissuto personalmente questa situazione, quindi so esattamente cosa vuol dire ‘staccare la spina’ perché mio padre me l’ha chiesto”.
Alosha: “mio padre mi chiese di staccare la spina”
“Quando lui me l’ha chiesto è perché era consapevole, ma io gli dissi una bugia, cioè che c’era ancora speranza, anche se ero consapevole che speranza non c’è n’era e che quindi magari, anche quella bugia era una forma d’amore. Ma non si può, non lo potevo fare legalmente qualcosa del genere, quindi ho sposato questo racconto che io già ho letto qualche anno fa nel libro di Mario che per me era la massima espressione dell’amore’ continua dicendo ‘L’atto di amore più estremo che possa esistere è questo. Poter donare la libertà nella vita e nella morte'”.
“Le identità delle persone vanno oltre una semplice definizione o categoria; sono qualcosa di più ampio, più etereo”. Non si tratta solo di ampiezza, ma di una dimensione che permea la quotidianità, che si manifesta non solo nei momenti estremi, ma anche nelle sfumature più nascoste di noi stessi, spesso ignorate o non accettate socialmente. “È in queste sfumature che troviamo la vera essenza dell’essere umano, ed è qui che emerge la necessità di riconoscere e rispettare la dignità di ogni individuo, anche quando si tratta di prendere decisioni difficili o considerate tabù dalla società”.
Acireale / “Amore”: sullo sfondo dell’eutanasia, unao spettacolo che riflette il senso dell’arte
“E’ stato terapeutico per me oggi – dice Alosha, perché è come se quello – ‘stacca la spina’ che mi disse mio padre, oggi mi ha fatto dire: “papà, io ti stacco la spina perché ti amo”. Questa esperienza personale, ha profondamente plasmato il mio modo di concepire l’arte. Per me, l’arte deve essere un veicolo di verità immediata, un riflesso autentico di ciò che accade tra gli esseri umani e del nostro vissuto personale. È per questo che trovo fondamentale avere sul palcoscenico persone che hanno un legame diretto con la mia vita, come ad esempio mia figlia, la quale spesso condivide la scena con me. All’inizio, questa scelta mi ha fatto riflettere sul lato psicologico: affrontare me stesso sul palcoscenico può essere destabilizzante”.
“Tuttavia, ho imparato che l’arte ha bisogno di spazi liberi, dove possiamo essere noi stessi senza essere identificati come marito, moglie o appartenenti a qualcuno. Non mi sento più come un’entità da giustificare o spiegare, ma piuttosto come un complice in una scena condivisa. Questo non è stato solo il risultato del mio lavoro, ma anche dell’impegno e della complicità di mia moglie e dell’essere che abbiamo generato, che hanno saputo cogliere appieno il significato di questa situazione unica.
Quindi è stato terapeutico per me oggi, perché per me è fondamentale che l’arte sia anche un elemento di verità, soprattutto di verità immediata in quello che che accade tra gli esseri umani tra quello che noi accadiamo nel nostro vissuto. Io affronto molto me stesso, e rappresentare con la propria famiglia può essere emotivamente destabilizzante perché l’arte ha bisogno dei suoi spazi, però quest’esperienza mi ha reso libero e complice, non identificato nella categoria di padre e marito”.
Marika La Mela