Sondaggio Demos – Coop / Adolescenti senza passioni e ideologie. Così appare la tiepida “Generazione Z”

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La sempre più globalizzata e connessa “generazione Z” (nati dopo il Duemila) si interessa poco alla politica, non contesta le posizioni dei genitori e vivacchia lacunosamente una fede piuttosto sbiadita.

Li definiscono “tiepidi”, perché non hanno passioni né ideologie. “Tiepidi” perché non hanno slanci neppure nell’ambito della fede, rispetto alla quale restano sulla soglia di una posizione neutra. Nonostante il “diffuso” senso di solitudine cosmica, che ammettono di avvertire più di ogni altra cosa (in 4 su 10 nei sondaggi di Demos-Coop), gli adolescenti non si avventurano in alcuna ricerca interiore di carattere spirituale o ideologica. Evitano distrattamente la domanda.

Così la sempre più globalizzata e connessa “generazione Z” (nati dopo il Duemila) si interessa poco alla politica, neppure contesta, anzi spesso si allinea alle posizioni dei genitori. Vivacchia lacunosamente una fede piuttosto sbiadita grazie a una infarinatura religiosa, che risale ai tempi del catechismo. Spesso si definisce atea, anche se non conosce fino in fondo il significato di questa parola. Non sa distinguere l’ateismo dall’agnosticismo e non sa spiegare cosa sia la laicità (o il laicismo).

Vive inconsapevolmente i corti circuiti della sua epoca, contamina il suo sedicente ateismo con quel pasticcio di sincretismo religioso che va per la maggiore, dove non mancano di confluire residui di superstizioni popolari duri a morire anche nell’immaginario collettivo 2.0.

Gli esperti dicono che dipenda dal “disincanto” generale. Le passioni si raffreddano perché sono prive della dimensione ideale, c’è solo l’orizzonte della cruda e gretta realtà. I nostri figli non sanno “credere”, hanno imparato soltanto confrontarsi con i dati della concretezza. Hanno respirato la sfiducia e il disfattismo di questi anni e si sono abituati a rispondere con una sorta di inevitabile cinismo di autodifesa.

Ma in questa fitta nebbia di solitudine dov’è finita la ricerca innata del divino e la dimensione spirituale?
Sono i più grandi (quelli che si avvicinano alla maggiore età) a sollevare l’interrogativo. Per molti anni la relazione con Dio è stata vissuta come una sorta di consuetudine, una banale trasmissione di sapere, oppure è stata del tutto assente. La percezione è sempre molto personale. Nelle case raramente si impartisce una educazione religiosa e ciò che si apprende tra gli otto e i tredici anni nell’ambito del catechismo o a scuola non può essere sufficiente a costruire una solida dimensione religiosa. Non è sufficiente neppure a rispondere a quelle domande intrecciate con la cultura generale che, a volte, tirano in ballo precetti religiosi, di fronte alle quali gli adolescenti fanno spallucce o restano inebetiti.

Sulle religioni, in generale, i giovani si esprimono con scetticismo. Il cattolicesimo, in particolare, spesso viene percepito come una “summa” di regole formali che portano i credenti a mancare in autenticità. Nel panorama generale si salva Papa Francesco, che presso i giovani conserva grande carisma “perché parla il linguaggio della semplicità”.
Tutti amano Papa Francesco, conoscono poco Gesù e non comprendono molto il linguaggio della Chiesa. A volte subiscono delle tentazioni esterne, magari da parte di quelle religioni che sono vicine alle filosofie orientali.

I giovani non praticano, ma pregano occasionalmente. Forse quando il silenzio della solitudine cosmica diviene davvero assordante.

Silvia Rossetti

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