Adozione e affido / I figli adottivi alla ricerca delle proprie radici

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Per la prima volta in Italia una ricerca condotta dall’Istituto degli Innocenti di Firenze prova a quantificare il numero di quanti ricorrono al Tribunale per avere informazioni sui propri genitori naturali. La ricerca è stata presentata  all’Università Cattolica di Milano all’interno di un convegno dal titolo: “Allargare lo spazio familiare: essere figli nell’adozione e nell’affido”

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Arriva un’età in cui alcune tra le persone che hanno vissuto l’esperienza dell’adozione sentono l’esigenza di risalire alle proprie radici, di scoprire il nome dei propri genitori biologici. Un’esperienza su cui fa luce una ricerca condotta dall’Istituto degli Innocenti di Firenze. Lo studio ha preso in esame le domande presentante, tra il 2009 e il 2011, a 15 Tribunali per i minorenni, rivelando come il numero delle richieste ammonti a 513. Di queste 398 risultano concluse nel periodo considerato con il seguente esito: 233 sono state accolte (e quindi sono state trasmesse le informazioni contenute nei fascicoli), le altre rigettate o ritenute non ammissibili perché i genitori risultavano ignoti o non avevano riconosciuto il figlio (117 casi).La carica dei 50mila. Questa è solo una delle ricerche sul tema dell’adozione e dell’affido che sono state presentate all’Università Cattolica del Sacro Cuore nel corso del convegno internazionale “Allargare lo spazio familiare: essere figli nell’adozione e nell’affido” . “Sarà un’occasione – spiega la professoressa Rosa Rosnati, dell’Università Cattolica – per far dialogare il mondo della ricerca e degli operatori sociali, due mondi che spesso tendono ad avanzare in forma parallela. Il nostro auspicio è che momenti come questo possano favorire la costituzione di una rete a sostegno delle famiglie chiamate ad affrontare la sfida dell’adozione e dell’affido”. In Italia, dal 2004 al 2012, i bambini accolti in famiglia attraverso i canali dell’adozione sia nazionale sia internazionale sono stati in totale 43.262 a cui vanno aggiunti i 14.841 minori in affido (dati 2011).Il potenziale del fattore famiglia. “Non di rado – spiega la docente – si sente parlare di adozione o di affido, fornendone generalmente una rappresentazione negativa e sottolineandone soprattutto gli aspetti problematici: lungaggini burocratiche, intoppi, contrasti tra servizi e famiglie, crisi, fallimenti e quando un episodio di cronaca nera riguarda un minore adottato, fa indubbiamente molto scalpore. Questo scenario, certo fondato su elementi di realtà, rischia però di offuscarne le potenzialità: adozione e affido costituiscono per quei bambini privi di un contesto familiare adeguato, una fondamentale opportunità di recupero e di crescita”. A riprova di questa considerazione, durante il convegno, è stata presentata una ricerca condotta in Olanda dall’équipe del professor Wendy Tieman. L’indagine – unica nel suo genere – ha seguito la crescita di 3.519 bambini dal momento del loro inserimento in famiglia fino ai 24-30 anni. “Da un’altra indagine longitudinale che stiamo svolgendo come Centro di Ateneo studi e ricerche sulla famiglia della Cattolica – prosegue Rosnati – emerge come ad un anno dal loro inserimento nel nuovo nucleo familiare i minori dimostrino uno sviluppo davvero sorprendente sotto molti punti di vista (fisico, cognitivo, relazionale). Questo dimostra quello che potremmo chiamare il potenziale del fattore famiglia che non ha eguali in nessun tipo di istituto”.

Una rete di famiglie. Restano però, in questo tipo di percorsi, delle criticità, legate solitamente alle esperienze vissute dai minori, che tende a emergere specialmente durante l’adolescenza. Per questo diventa fondamentale il rapporto tra famiglia e contesto sociale di appartenenza a partire dalla scuola. “Adozione e affido, pur con le loro specificità – precisa la docente – nascono come risposta sociale nei confronti dell’infanzia abbandonata o in situazioni di grave trascuratezza. Da qui scaturisce la responsabilità che il sociale è chiamato ad assumere nel sostenere le famiglie attraverso le diverse tappe del percorso adottivo”. Un discorso che è ancora più sentito per quanto riguarda l’affido. “Il fatto che vi siano meno famiglie disposte ad aprirsi all’affido rispetto all’adozione – conclude Rosnati – è certamente una questione culturale che risponde però anche alla consapevolezza della complessità di questo tipo di relazione. D’altra parte l’affido è per i minori, ma anche per le famiglie coinvolte, un’opportunità incredibile di vivere la genitorialità che tende ad esprimersi in una dimensione comunitaria. Molto spesso le famiglie affidatarie non si muovono da sole, ma sono espressione di gruppi di famiglie che condividono questo tipo di percorso”.

Michele Luppi
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