Nel nuovo governo la condizione delle donne in Afghanistan avrebbe dovuto essere migliore nel rispetto della “sharia” rispetto al vecchio governo dei talebani. Ma è realmente così? Il portavoce dei talebani aveva assicurato nel corso di un’intervista “questo è l’inizio, ma faremo posto alle donne, possono far parte del governo, questo sarà il nostro secondo passo”. Ma queste parole sono cadute, dato che molte giornaliste hanno iniziato a denunciare sui social di non poter entrare nelle loro redazioni. Per di più, molte altre donne sono state costrette a rimanere in casa, dato che non è possibile garantire loro la sicurezza totale. Questo perché i talebani non sono abituati a vedere donne sole per strade. Dalla caduta del precedente governo guidato dai talebani, nel 2001, la condizione delle donne in Afghanistan ha assistito a cambiamenti significativi, come dettagliato dall’Osservatorio sulla sicurezza internazionale della LUISS.
Come vivevano le donne afgane durante il periodo dei mujaeddin?
Nel 1992, quando i mujaheddin sono saliti al potere, alcuni dei diritti di cui le donne hanno goduto dal 1978 fino a quell’anno sono stati rimossi. L’adulterio divenne punibile con l’esecuzione e il velo divenne obbligatorio, ma non il burqa (fino al 1996). Anche se il regime imponeva il velo e un abito scuro obbligatorio e non consentiva loro di lavorare in maniera professionale, in quel lasso di tempo era ancora comune vedere donne indossare abiti molto sfarzosi variopinti. Il velo era principalmente simbolico, nonostante le varie limitazioni che già imponevano i mujaheddin alle donne. Queste hanno continuato a lavorare e molte disposizioni del 1964 sono rimaste in vigore. Ma, nel 1996, con l’arrivo dei talebani, la condizione per le donne in Afghanistan divenne drammatica, se non tragica.
Come vivevano le donne durante il periodo dei talebani?
Dal 1996 al 2001 i talebani, ossessionati dalla figura femminile, hanno infatti imposto alle donne obblighi assurdi. Le donne dovevano trascorrere tutto il tempo nella propria abitazione, con la possibilità di uscire solo se accompagnate da un tutore maschio. Il burqa (nella foto) era obbligatorio con divieto di cosmetici, smalto e gioielli. Era proibito loro di ridere, lavorare e frequentare la scuola. Nessun uomo avrebbe dovuto rivolgere la parola a una donna e questa non avrebbe nemmeno dovuto guardarlo negli occhi o stringergli la mano. Tutte le donne presenti in radio, in televisione e in uffici pubblici scomparvero.
Proibite le biciclette e tutti i tipi di sport possibili per le donne. Chiusi tutti i bagni pubblici femminili. Gli uomini hanno avuto potere assoluto sulle donne privandole di ogni diritto fino al punto da essere fustigate pubblicamente. Risultano tantissime le donne giustiziate per adulterio. I talebani vietavano alle donne di svolgere diverse professioni come quella di medico, ingegnere e infermiere, consentite al tempo dei mujaeddin.
Le differenze tra zone rurali e capitale
Dopo la sconfitta dei talebani nel 2001, si era aperta una speranza per il futuro dell’Afghanistan. Infatti nelle zone del paese che erano sotto il controllo occidentale le donne vivevano in una condizione migliore (il 25% delle ragazze era alfabetizzato). Mentre nei territori del sud controllati dai talebani o nelle province interne il legame con una tradizione fondata su antichi e radicati costumi era rimasta forte. Nella società afghana, l’uomo è il centro della famiglia, della politica, dell’economia, della cultura.
Nei villaggi, soprattutto quelli dell’interno, tutto è regolato dal consiglio dei capi dei villaggi, che agiscono secondo leggi tribali. Molte usanze della tradizione contrastano con i diritti delle donne. Viene ancora praticata la poligamia e resistono tabù e leggi arcaiche, come il matrimonio forzato in età infantile con uomini adulti, e molte forme di violenza domestica, tra cui stupri e mutilazioni. A distanza di oltre vent’anni anni da quel 1996 in cui il Paese piombò nel medioevo, la condizione delle donne in Afghanistan rimane oggi tragica e gli abusi contro i loro diritti sono tra i più gravi a livello mondiale.
La costituzione post-talebana del 2004
I diritti delle donne in Afghanistan sono cambiati in maniera significativa dopo il 2001, con la caduta del regime talebano. Le donne afgane hanno gli stessi diritti dell’uomo dal 2004, rifacendosi alla Costituzione del 1964. La Costituzione post-talebana del 2004 aveva migliorato la condizione socio-economica delle donne. Quest’ultima ha permesso loro sia di accedere all’istruzione primaria, secondaria e università, sia di svolgere la professione di dipendente pubblico. Nonostante risulti ripristinato il codice civile del 1976 e quello della famiglia del 1971, in base ai quali la donna afgana godrebbe di buoni diritti. La mentalità conservatrice da parte degli afgani non è d’aiuto all’emancipazione femminile. La donna infatti aveva già molte limitazioni lavorative e sociali nelle zone rurali. Invece nelle zone più sviluppate, come Kabul, è stato abbastanza comune vedere donne utilizzare abiti di origine occidentale, come camicie e pantaloni.
Come è la condizione delle donne in Afghanistan dopo la presa di Kabul?
Attualmente non è possibile sapere fino a che punto i talebani si impegneranno a rispettare i diritti delle donne in Afghanistan. Ciò che è certo è che la è popolazione ricorda ancora il modo di operare dei talebani nel periodo 1996-2001. In questo periodo le donne erano obbligate ad essere accompagnate in luoghi pubblici, rammentano percosse e pene. Sono tali ricordi a generare scetticismo, nonostante l’annunciato cambiamento dei talebani. Il 16 agosto, giorno successivo alla presa di Kabul, le donne sembravano comportarsi come al solito, indossando abiti colorati e scendendo in piazza per reclamare i loro diritti. Ma già qualche giorno dopo sono stati segnalati casi di impiegate a contatto con il pubblico costrette a tornare a casa. O di famiglie costrette a consegnare le proprie figlie per sposare i talebani.
Scuola, sport, politica: quello che le donne non possono fare in Afghanistan
“I tempi sono cambiati’’ aveva dichiarato il portavoce nella prima stampa. Ma a quasi due mesi dalla presa di Kabul tornano uno dopo l’altro i divieti con cui dovrà convivere un’intera generazione di donne. Con le riaperture delle università, nelle aule sono comparse le tende per separare studenti da studentesse. Le donne che frequentano college e università dovranno indossare il niqab e uscire 5 minuti prima per non mescolarsi ai maschi. Inoltre i talebani hanno annunciato di voler vietare alle donne di praticare lo sport.
Addirittura il vice capo della commissione culturale dei talebani, Ahmadullah Wasiq, ha affermato che lo sport femminile non è né appropriato né necessario. Ha aggiunto: “alle afgane sarà consentito uscire di caso solo per bisogni essenziali e lo sport non è tra questi come pure manifestare’’. Insomma le prime dichiarazioni appaiono già lontanissime dalle promesse di un governo inclusivo, scatenando proteste e manifestazioni in diverse città a difesa dei diritti delle donne contro il nuovo potere.
I talebani decapitano una giovane pallavolista
E’ notizia delle ultime ore che una giocatrice della nazionale giovanile di pallavolo dell’Afghanistan sia stata decapitata dai talebani a Kabul ad inizio ottobre. Non era stata diffusa prima dai familiari per timori di rappresaglie. Secondo l’allenatrice, le circostanze dell’uccisione della sportiva erano note solo ai familiari. Prima dell’arrivo dei talebani, precisano i media, la pallavolista giocava per la squadra della capitale afghana. Tra le giocatrici della nazionale giovanile, solo due sono riuscite a scappare all’estero. Mentre tutte le altre sono state costrette a fuggire e nascondersi. Nelle scorse settimane, una trentina di atlete della nazionale di volley dell’Afghanistan avevano già raccontato di temere violenze e rappresaglie da parte dei talebani per la loro attività sportiva, chiedendo alla comunità internazionale di aiutarle a lasciare il Paese. Alcune loro compagne, che invece erano riuscite a fuggire, avevano denunciato l’uccisione ad agosto di un’altra giocatrice della squadra a colpi di pistola.
Roberta La Terra