Bruciati vivi 43 giovani messicani. Qualcuno non poteva più accettare la loro opposizione alla corruzione delle istituzioni e alla violenza dei narcos.
Conoscevano molto bene il rischio che correvano ma più forte della paura è stata la loro la sete di giustizia e la loro richiesta di rispetto della dignità e dei diritti di ogni persona.
La tragedia, scoperta per la confessione di tre pentiti, è diventata subito notizia di prima pagina, ha scosso e scuote la coscienza.
Almeno dovrebbe scuotere quella di quanti non hanno rinunciato e non rinunciano a credere nell’uomo, a difenderne la dignità e i diritti.
Ai bordi della cronaca questa lezione di verità e di libertà di 43 giovani suscita molti sentimenti a partire dallo stupore per una testimonianza che dice quanto capaci di lottare contro il male siano le nuove generazioni che il mondo adulto è spesso pronto più a giudicare che a comprendere.
Di fronte a una strage di innocenti del terzo millennio, anche i media dovrebbero porsi qualche domanda sull’immagine dei giovani che più amano diffondere trascurando, per ragioni di notiziabilità, le loro fatiche, le loro sofferenze, le loro speranze, i loro sogni.
Quello che è accaduto in Messico non è solo un fatto di cronaca nera, non si tratta solo di raccontare una spaventosa carneficina, non è solo un opportuno susseguirsi di analisi sulla situazione culturale, sociale e politica del Messico.
La cronaca, nella sua essenzialità e durezza di linguaggi, sollecita anche altre domande partendo magari da una tragedia.
Chi coglie e racconta la volontà e la capacità dei giovani di costruire un domani migliore mentre vivono in un oggi, da loro abitato, ma non da loro scelto? Come i media raccontano i furti di futuro che spesso gli adulti compiono ai danni dei giovani?
Non si può dimenticare che ai 43 giovani messicani è stata tolta la vita perché hanno tentato il tutto per tutto per non farsi rubare la speranza. Nel loro breve tratto di vita non ce l’hanno fatta ma il loro grido soffocato dal fumo e dal fuoco è ora il grido di molti giovani messicani e di molti altri giovani nel mondo.
Ai bordi della cronaca lo si sente pur nel rumoreggiare incessante dei titoli, delle immagini, delle voci. Tocca soprattutto ai media assumersi la responsabilità di non silenziare quel grido. Tocca anche agli educatori, incominciando dai genitori, assumersi la responsabilità di trasformare quel grido in un risveglio della coscienza perché l’illegalità, la violenza e l’offesa non abitano solo il Messico. Tocca anche ai sacerdoti richiamare quel grido mentre leggono alla comunità le pagine del Vangelo che narrano del grido dei poveri e degli oppressi.
Ai bordi della cronaca nasce allora il sogno di un’alleanza tra responsabili dei media e responsabili dell’educazione, un’alleanza contro il male, un’alleanza per la speranza, un’alleanza tra generazioni, un’alleanza armata di pensieri, progetti e impegni grandi.
Non è una fuga dalla realtà, è il realismo di chi freme di fronte agli assassini di 43 giovani bruciati vivi e chiede giustizia, è il realismo di chi raccoglie quelle ceneri e le depone in una teca per la memoria e la preghiera. Le raccoglie e le depone anche in un’altra teca che è la coscienza di ogni uomo e di ogni donna. Una coscienza che sente quei 43 giovani messicani come figli, fratelli nipoti.
Nessuna retorica. Ai bordi della cronaca c’è sempre e solo il desiderio di cogliere tracce di umanità, tracce di speranza. Anche quando il fuoco sembra divorare entrambe.
Paolo Bustaffa