Inutile cercare tra le pagine dei giornali nazionali, inutile cambiare canale televisivo, inutile navigare in internet. Di loro non c’è traccia. Eppure sono decine e decine di migliaia le persone di giovanissima età che dalla fine dell’anno scolastico hanno attraversato e attraversano piazze, strade e giardini pubblici di città e paesi con le loro magliette colorate. Hanno uno slogan, “Tutti a tavola”, che con parole semplici coglie e rilancia da Expo2015 il richiamo al diritto al cibo nel mondo.
La maggior parte è fatta da volti italiani ma non mancano quelli con colori e profili di altri Paesi e sono il segno di un’accoglienza e di uno stare insieme che in questi giorni diventano una risposta ai rifiuti e alle indifferenze verso quanti, arrivati da lontano, portano storie, culture e religioni diverse.
Con questo piccolo popolo vociante, allegro e con gli occhi aperti camminano altri, più grandi, che hanno scelto di donare il loro tempo ad altri.
E sempre c’è un prete, spesso in calzoncini corti, che accoglie, accompagna e condivide. Ma anche aiuta a cogliere e a vivere un’esperienza di vita che si snoda attorno alla festa e si arricchisce di momenti che aiutano a crescere anche interiormente.
Questo è il popolo del Grest, un evento estivo che le comunità cristiane, le parrocchie, vivono ogni anno e il cui significato originale è “Grande estate” trasformato successivamente in “Gruppo estivo” o “Oratorio estivo”.
Un servizio semplice ed efficace per tante famiglie che dopo la scuola cercano un luogo, e soprattutto delle persone, a cui affidare i figli più piccoli altrimenti lasciati soli davanti al computer oppure sulla strada.
Un servizio che entra a pieno titolo in quello stare con amore dentro la vita di una città e di un paese che una comunità cristiana esprime senza confini ma anche senza perdere quell’originalità che, nel caso specifico, caratterizza il Grest rispetto a un Centro estivo comunale.
Non si tratta dunque di stabilire graduatorie di qualità tra le due proposte e sarebbe davvero sciocco e inconcludente il farlo.
Ma neppure si può trascurare che nel Grest una comunità cristiana concretizza la sua proposta perché il tempo dello svago, del gioco e della serenità non sia privato da momenti di pensiero, di riflessione, di interiorità.
E questo non per marcare una differenza che separa o allontana da altre esperienze ma per rispondere a un’esigenza profonda e senza età, che è nel cuore di ogni persona e prende voce anche nel tempo della festa e del gioco.
Occorre allora una riflessione più matura da parte dell’opinione pubblica, cattolica e non cattolica, per evitare che sbrigativamente si licenzi il Grest come qualcosa di semplicemente ludico e che può fare gratuitamente solo qualcuno.
Occorre uscire da questa semplificazione e rendersi conto che da questa esperienza viene un insegnamento e un aiuto a riscoprire la cultura del dono, della gratuità, del dialogo tra generazioni sui temi della vita e della fede vissuti nella concretezza del quotidiano.
Certamente i media non si occupano di questo popolo di piccoli che attraversano strade, piazze, giardini perché grandi problemi e grandi fatti premono alle porte dell’informazione.
Tutto questo è perfettamente comprensibile e richiama ancora una volta la bellezza di una comunicazione che viaggiando fuori dai grandi canali dei giornali, delle tv e del web, lascia un segno di fiducia nella vita di migliaia di persone, piccole e grandi. Insomma se non c’è traccia nei grandi media non significa affatto che non ci sia un’altra traccia che rimane dopo aver voltato pagina, cambiato canale televisivo, navigato tra i siti.
Paolo Bustaffa