Ai bordi della cronaca / Dal grande scandalo di Roma un risveglio della coscienza?

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Il papa parla ai gesuiti, suoi confratelli

Emergenza: qualcuno da tempo, come il gesuita Giovanni Lamanna del Centro Astalli in Roma, aveva segnalato che nella capitale dietro questa parola si nascondevano operazioni di dubbia legalità e trasparenza. Una trama di illegalità e corruzione che approfittava della buona fede di un’opinione pubblica convinta che con “emergenza” si intendesse un aiuto immediato e temporaneo a persone in gravissime situazioni. Si poteva immaginare qualche azione poco trasparente e qualche buco nella organizzazione, mai si poteva immaginare tanta desolante immoralità.

Ai bordi della cronaca quello che colpisce, oltre ai molteplici aspetti di cui i media stanno riferendo, è soprattutto l’oltraggio

Il papa parla ai gesuiti, suoi confratelli
Il papa parla ai gesuiti, suoi confratelli

inferto a persone tra le più fragili e indifese. Persone che nella “emergenza” avrebbero dovuto trovare un respiro di umanità nell’affanno di riprendere una vita meno carica di terrore e di angoscia. Persone che sono state ridotte a numeri e a merce per concludere affari più sporchi che mai.

La giustizia farà il suo corso, la pagina è aperta e i media continueranno a svolgere il loro servizio di ricerca e di denuncia. Ma è sulla parola “emergenza” che si impone una rigorosa riflessione perché di essa se ne è fatto scempio, perché si è svuotata di significato nel momento in cui è stata isolata, culturalmente e politicamente, rispetto a un percorso di promozione della dignità della persona. E quando una qualsiasi realtà umana e sociale viene isolata è più facile che soccomba all’attacco dei violenti.

Eppure da molte espressioni di solidarietà e accoglienza, cattoliche e non cattoliche, la richiesta di una prospettiva post-emergenza si era levata con forza. Continua a levarsi perché a chi è impegnato in un percorso di carità e giustizia non basta un riconoscimento formale e ancor meno basta un encomio pubblico. La risposta attesa dalla politica e dalle istituzioni è ben altra.

L’estrema gravità dei fatti accaduti esige dunque di tornare in tema senza tuttavia fermarsi al disgusto, all’indignazione, alla richiesta doverosa e vibrante di giustizia. Urgono una riflessione e un progetto più maturi attorno all’emergenza e al dopo-emergenza per evitare il rischio che queste due parole, dopo la reazione allo scandalo, tornino nel limbo dell’indifferenza, vengano rimosse dal vocabolario di un Paese civile. Non c’è dubbio: l’emergenza, intesa come intervento immediato per consentire la sopravvivenza a persone con elevato rischio di vita, deve essere riorganizzata con rigorosi criteri di trasparenza e controllo.

“Ma i veri problemi – afferma Tiziano Vecchiato della Fondazione E. Zancan – nascono nel dopo emergenza quando tutto diventa normale e quotidiano. Chi, uscendo dall’emergenza, sperava di trovare risposte trova il contrario: disattenzione, paura, domanda di sicurezza, regolamenti a vantaggio delle organizzazioni di servizio, prestazioni senza relazioni di aiuto”.

Traditi nell’emergenza e dimenticati dopo l’emergenza: è questa dunque la sorte che attende quanti fuggono dalla disperazione? La risposta di un Paese civile può ancora essere: “Ci dispiace, non possiamo, siete troppi?”.

Ai bordi della cronaca torna alla mente l’appello di Papa Francesco a guardare negli occhi l’altro soprattutto quando fragile e smarrito. Significa riconoscere la dignità dell’altro, significa comprendere che il mancato riconoscimento della dignità dell’altro affievolisce o spegne la dignità di tutti.

Uno scandalo così grave, strumentalizzazioni così rumorose, indifferenze così grigie rimettono a dura prova questi pensieri.

Le infinite testimonianze e iniziative di segno opposto rispetto a quelle raccontate in questi giorni dai media sembrano insignificanti, sembrano frutto di menti sognatrici.

A molti appaiono come inutili tentativi per contenere il male. Forse in questo giudizio si rivela un’emergenza che riguarda la coscienza. Un’emergenza invisibile ma non meno grave e preoccupante di altre.

Paolo Bustaffa

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