Una bimba appena nata che muore perché tre ospedali dicono di non essere in grado di assisterla, centinaia di morti annegati o assiderati nel Mediterraneo, una mamma che si butta in mare con i due piccoli figli, le colonne di carri armati nella neve o nella sabbia: immagini forti che ancora una volta sono passate davanti agli occhi ditutto il Paese.
Sullo sfondo si è mosso il racconto visivo di quanto è successo nell’aula di Montecitorio negli stessi giorni.
Ai bordi della cronaca queste immagini, così diverse, graffiano l’opinione pubblica. Toccano il battito del cuore, il ritmo del respiro e il muoversi del pensiero.
Non si è così sprovveduti da osare un accostamento tra evidenti diversità, eppure qualcosa le unisce nel significato triste che tutte trasmettono.
Non bastano le parole degli esperti e degli opinionisti per passare dal buio alla luce o almeno a un chiarore. Non bastano le parole di chi è sempre pronto, anche con gentilezza e competenza, a offrire spiegazioni e commenti.
Non bastano perché ai bordi della cronaca si assiste a un calo di umanità che pone la domanda su quale futuro stia nascendo da tanto odio, tanta indifferenza, tanta arroganza.
Sembra di essere in cammino ai bordi di un baratro dove continuano a cadere tanti innocenti, tante persone oneste, tanti pensieri di pace, di giustizia, di solidarietà.
Come si può guardare avanti senza finire nelle derive delle utopie inconcludenti, delle parole vane, delle frasi ripetitive e, per questo motivo, sempre più sterili?
Come dire qualcosa di sensato a chi è spezzato dal dolore per una morte ingiusta, a chi è lacerato nell’animo nel vedere un luogo istituzionale, di altissimo valore educativo, trasformatoin un luogo di scomposte veemenze verbali?
Domande alle quali anche chi è ai bordi della cronaca è chiamato a rispondere con la propria coscienzae non semplicemente copiando e incollando i pareri degli editorialisti e dei corsivisti.
Il salto di umanità che queste tragedie e queste offese esigono perché non abbiano a ripetersi non può che venire da un pensiero reso forte e inquieto dal silenzio, dall’ascolto, dal confronto. Un pensiero che si trasforma in un supplemento di responsabilità.
Diversamente il rischio è di non sentirsi chiamati in causa dalle tragedie e di avvertire la cronaca sempre più lontana dalla quotidiana fatica di vivere.
Non è stato il Festival di Sanremo a tenere la coscienza lontana da quanto di triste sta accadendo in Italia e nel mondo. In fondo quelle tre o quattro serate hanno solo staccato per breve tempo la mente dalla realtà. Come peraltro accade ogni anno anche a Carnevale.
C’è qualcosa di più importante che forse sta entrando in dissolvenza. C’è il senso che l’uomo di oggi riesce a dare a se stesso e agli altri, alla propria vita e a quella degli altri. C’è il valore che l’uomo di oggi attribuisce agli intervalli e alla vita. C’è da chiedersi, senza sconfinare nella retorica, se l’uomo ama abitare più gli intervalli che la vita.
Sono queste inquietudini ad affollare la mente di chi cammina ai bordi della cronaca con il desiderio di non perdere il filo dei fatti e neppure il filo per incontrare se stesso.
È un esercizio difficile ma profondamente umano e foriero di umanità. Il filo del pensiero entra nel gomitolo della cronaca e, senza spezzarsi, accompagna l’uomo nella ricerca di umanità, nel dono di umanità, nell’esperienza di umanità.
Paolo Bustaffa