Mai chiudere giornali e spegnere video ma sempre cogliere il significato più profondo dei fatti e dei pensieri che in entrambi si raccontano. Non è un esercizio facile. I racconti mediatici di violenze e umiliazioni portano molti a immaginarsi su un ring a subire i colpi di un avversario imbattibile. Si susseguono round nei quali il più delle volte si vedono costretti alla corda. Occorre allenarsi.
Accade allora che si faccia largo un insopprimibile bisogno di un’altra informazione non per fuggire da una realtà complessa ma per leggerla in altro modo, con altre lenti.
Soprattutto per leggerla nell’insieme e non nei frammenti.
Ai bordi della cronaca ci si ritrova così a sfogliare i giornali del territorio, i giornali della strada, i giornali scritti da chi ha la debolezza di possedere poco o nulla ma ha la forza di una coscienza consapevole della propria e dell’altrui dignità.
Un po’ storditi, perché appena usciti dal quotidiano ring mediatico, capita di leggere sul numero in distribuzione in questi giorni del mensile di strada “scarp de’ tenis”, la storia di rifugiati, “volontari a casa nostra”, che consegnano cibo, puliscono piazze, aiutano chi è in difficoltà, sono al servizio dei più deboli.
Racconti che normalmente non hanno spazio sui media più diffusi. Sono perlopiù posti in rubriche staccate dall’informazione ordinaria: quella che di fatto fa opinione, ispira mentalità e comportamenti.
Sono scelte di rimozione che tolgono dai circuiti dell’informazione la notizia del positivo e la consegnano alle rubriche, la chiudono in una gabbia dorata.
La notizia del bene viene sottratta all’opinione pubblica che si vede derubata, forse senza accorgersene, della possibilità di approfondire, di pensare, di vincere il pregiudizio e la paura.
Ai bordi della cronaca si sfogliano le pagine di “scarp de’ tennis” e si scopre che a Bergamo, a Milano, ad Alessandria, a Vicenza, ad Agrigento c’è un fiorire di gesti di solidarietà che vedono protagonisti gli immigrati e, in particolare, i rifugiati. Persone con diverse culture, storie e religioni.
E la lettura di queste esperienze avviene mentre i media nazionali riferiscono, doverosamente, di morte e distruzione nel mondo, di violenze nelle nostre case, dell’ennesimo atroce assassinio di un ostaggio inerme per mano di sanguinari dell’Isis.
Dove passa il futuro? È la domanda che nasce ai bordi della cronaca.
Non certo dall’Isis che sarà sconfitto dallo stesso male che sta compiendo. Non certo da un’ironia che non ha alcun rispetto della sensibilità altrui. Non certo dall’incapacità di risolvere un conflitto tra persone senza ricorrere alla violenza.
Il futuro passa dai segni di umanità. Non dovrebbero essere professionalmente sottovalutati dai media perché anch’essi, come i segni disumanità, fanno parte della realtà e della verità e quindi non possono essere taciuti.
È un esercizio frequente, ai bordi della cronaca, mettere in controluce la “competenza in umanità” dei media con grandi risorse con quella dei media che non ne hanno: non per una sterile contrapposizione ma per capire quale direzione la comunicazione e l’informazione intendono prendere giunte al bivio tra il bene e il male.
Se il futuro del mondo passerà dai gesti di solidarietà, di accoglienza, di condivisione e non dai gesti di violenza e di umiliazione, il futuro dei media non dovrà passare dalla volontà e dalla capacità di raccontare entrambi avendo nel cuore professionale la dignità della persona?
Paola Bustaffa