“Ciascun volto è simbolo della vita. E tutta la vita merita rispetto. È trattando gli altri con dignità che si guadagna il rispetto per sé stessi”. Ci sono pensieri che a prima vista sembrano del tutto fuori dalla realtà, sembrano troppo alti e lontani dai fatti e dai problemi sui quali i media insistono. Quello citato è di Tahar Ben Jelloun, scrittore e saggista marocchino che vive a Parigi. Il suo pensiero sembra forse ignorare coloro che i volti li nascondono per compiere azioni scellerate e vili oppure li nascondono per rispettare regole la cui violazione comporta la privazione della libertà se non del diritto di vivere.
Eppure sono pensieri che, su un tratto buio della storia, aiutano a non finire sul ciglio scivoloso, a non prendere scorciatoie che si perdono nel nulla. Nello sconvolgimento del terrore si cercano dunque pensieri che aiutino a ritrovare la strada dei valori grandi che hanno guidato la storia di gran parte dell’umanità. Si cercano, in particolare, riflessioni d’intellettuali che non si arrendano alle parole dettate dalla paura e dalla reazione armata alla violenza.
Non è facile, la linea della sicurezza è diventata la prima linea. “Però alla fine sono giustizia e diritto a dover primeggiare sulla nostra rabbia. Qualunque sia il sospetto la democrazia non può invadere una casa o arrestare colui che la polizia sospetta di passare all’azione”.
Così afferma Ben Jelloun dopo che un deputato francese ha chiesto il carcere preventivo sulla base di indizi per le persone etichettate con la “scheda S” che indica “i radicalizzati” in odore di jihad e dopo che Latifa Ibn Ziatem, franco-marocchina e musulmana, madre di un soldato ucciso da un terrorista jihadista era stata fischiata al Parlamento francese perché parlava con il capo coperto da un velo che lasciava del tutto visibile il suo volto.
Lo scrittore commenta: “Saranno i musulmani innocenti a pagare le conseguenze di questo gruppo di criminali e sarà un prezzo molto caro”.
Certamente non sono stati solo loro e non saranno solo loro a pagare lo stragismo jihadista ma l’affermazione dello scrittore, autore di molti libri sull’immigrazione e sul razzismo, diventa appello a un supplemento di responsabilità nel giudicare persone e situazioni. Non rinuncia al realismo perché ricorda che quella contro i terroristi “è una lotta lunga e difficilissima. I raid aerei sulle loro postazioni non bastano, loro sono in mezzo a noi, lo abbiamo visto a Parigi, a Tunisi, in California. Bombardare noi stessi? Impossibile. Combattiamo ad armi impari. È una guerra di un nuovo genere che l’Europa non può combattere senza rinunciare ai propri valori. Ripeto la democrazia è il nostro bene più prezioso ma non è equipaggiata per lottare contro questo tipo di terrorismo”.
Non è equipaggiata non per quelle debolezze risapute e alle quali occorre porre rimedio prima che diventino malattie terminali, ma perché i suoi nemici dalle nere bandiere “non hanno alcuna paura di sacrificare la loro vita, gli hanno fatto il lavaggio del cervello, l’istinto vitale per noi così ovvio si è invertito in istinto di morte”.
Come può la democrazia fronteggiare questo istinto? La domanda chiama in causa la cultura della vita sulla quale una democrazia si fonda. Non si può rimanere sotto il tiro mortale di una minoranza fanatica di criminali che hanno la morte, cioè il nulla, come religione.
Occorre aggiungere a una risposta armata per legittima difesa un risveglio culturale.
Ben Jelloun, di fronte alle diverse responsabilità che si delineano nello scenario del terrorismo, aggiunge che “tante colpe ricadono anche su quelle tante famiglie che non hanno vegliato ai figli, è come la mafia, la polizia non basta. Serve tanta e tanta istruzione”.
Istruzione certamente sì ma ancor più occorre ricostruire nella famiglia e nelle relazioni sociali la cultura del volto come simbolo della vita. E su questa nuova frontiera è più che mai urgente anche l’alleanza tra educazione e comunicazione.
Paolo Bustaffa