Del coraggio dei piccoli e della codardia degli adulti, che vivevano accanto, si è scritto più volte in questi giorni a proposito degli sviluppi della storia sconvolgente che si è conclusa il 24 giugno 2014 nel quartiere Caivano di Napoli con la tragica morte della piccola Fortuna.
È uno dei molti casi, non solo in quel quartiere, di innocenza violata che ha fatto rabbrividire l’opinione pubblica e ha fatto alzare la voce al presidente della Repubblica e, ancora una volta, a papa Francesco.
I bambini non si toccano, ha gridato l’opinione pubblica.
Un grido più che mai condivisibile che, tuttavia, rischia di spegnersi in un contesto sociale dove sull’abbandono e sul disagio crescono la turpitudine dei deviati e l’arroganza dei violenti.
Un grido che si è ripetuto nel tempo, provocando le vibrazioni dell’indignazione ma non sempre, con la stessa intensità, quelle della coscienza.
“Tanto poi passa”: è la frase, terribile, che torna sia nei luoghi dove si è consumata una tragedia sia nelle menti di chi ha letto la notizia. La frase non sembra tanto dettata dall’indifferenza quanto da una sorte di istinto di sopravvivenza di fronte alla forza devastante del male.
La cronaca, senza volerlo, provoca questa rimozione perché il corso delle notizie è inarrestabile.
Di fronte ai bambini, la coscienza non dovrebbe comunque lasciarsi travolgere dal fiume mediatico e dovrebbe reagire con determinazione. Senza ignorare le buone prassi mentre agiscono per prevenire o sanare gli effetti del male denunciano che le sue radici si fanno forti nel degrado e nel disagio.
A questo punto si aprono diverse considerazioni, riflessioni e domande.
Tra le molte ci sono quelle di un cittadino di Napoli, apparse su un quotidiano nazionale all’indomani della notizia dell’arresto a Caivano. Titolo: “La furia palazzinara che ha ucciso Napoli”.
Questa furia, scrive il lettore, viene da “una borghesia voracemente dedita a far denaro nella più completa ignoranza di una vocazione urbanistica degna di questo nome. Grazie (si fa per dire) a queste valanghe di cemento abbattutesi su Napoli nel mezzo secolo che è alle nostre spalle, una città situata in una delle più belle aree del mondo è stata scelleratamente sfigurata”.
Come è stata scelleratamente sfigurata la vita della piccola Fortuna. E quelle di altri piccoli come lei.
Non è fuori tema l’osservazione del cittadino napoletano sul rapporto tra la mancanza di una cultura urbanistica e il disagio sociale in cui si annida il male.
Si nota infatti in molti quartieri di periferia, non solo a Napoli, l’assenza della coscienza civica che animava quella politica urbanistica che di fronte alle esigenze delle persone e delle famiglie sapeva rispondere con un disegno di città per l’uomo e non con una logica palazzinara contro l’uomo.
Forse c’è un ritardo irrecuperabile. Ma si può lasciare tutto così?
Di fronte alla morte di Fortuna e alla decisione di sua mamma di lasciare con gli altri figli il quartiere di Caivano la domanda diventa insistente.
Per amore di quella bimba, di altri bimbi e di altre persone innocenti, oltre al rigore della giustizia, occorre che torni una cultura urbanistica che sappia far fronte a una logica palazzinara che imprigiona e umilia. Una logica che dovrà moralmente rispondere del disagio sociale e del degrado umano delle peri ferie.
Anche questo potrebbe sembrare assai poco realistico.
La tragica storia di Fortuna dice invece che è realistico, dice che è un diritto dei piccoli abitare con serenità le case, le scuole, le piazze e le strade. Sarà loro il giudizio più severo su quanti tradiranno questa attesa, questo diritto.
Paolo Bustaffa