Ai bordi della cronaca / La grandezza dei piccoli. Un sogno nei perché dei bambini sulla storia dell’uomo

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Sui volti c’è il riflesso del loro pensiero sulla prima guerra mondiale. La telecamera li inquadra e certamente si comprende che dietro le loro parole ci sono una ricerca, un confronto e un sogno. Così nei giorni scorsi una trasmissione televisiva aveva disegnato un ponte tra i ragazzi di oggi e quanti, cento anni addietro, erano stati travolti dalla “inutile strage”.
Il filo rosso che lega i brevi commenti è la consapevolezza di un sacrificio immane, lontano nel tempo ma totalmente dentro l’attualità come purtroppo conferma il racconto mediatico che raggiunge anche i piccolipiccoli. I bambini ascoltano, vedono, pensano, domandano, sognano. Si esprimono con un’essenzialità e una semplicità alle quali spesso non arrivano gli adulti. Ne è stato un segno anche la sostituzione della parola “morte” con la parola “vita” nell’inno nazionale cantato il 24 maggio dal coro dei bambini a fianco del coro degli Alpini. I volti dei piccoli non rimuovono quelli dei grandi ma, anche senza saperlo, trasmettono sorprendenti messaggi di fiducia e di speranza.
Così, è accaduto sabato scorso quando il “Treno dei Bambini” con a bordo circa 300 figli di genitori in carcere si è fermato in Vaticano e i vivacissimi passeggeri hanno circondato papa Francesco che li ha invitati a sognare, a volare verso la felicità. Il sogno appartiene ancora ai bambini e alle bambine ma non è, come spesso intendono gli adulti, un tenere la testa tra le nuvole come non è un percorrere sentieri che scompaiono con il crescere dell’età .
Sognare che non ci sia più la guerra, che non ci sia più violenza, che non ci sia più fame, non ci sia più carcere con dentro papà e mamme, significa chiedere agli adulti se di fronte a queste tragedie e a queste sofferenze si sentono del tutto innocenti, estranei, impotenti. Significa chiedere agli adulti per quanto tempo ancora i bambini del mondo saranno vittime di un calo di umanità che sembra inarrestabile.
I bambini, ascoltano, vedono, pensano, sognano. Alla fine arriva il “perché?”. Una domanda che richiama, in particolare, l’assenza del padre, l’assenza dei genitori, l’assenza di adulti credibili. E i piccoli sanno benissimo che cos’è la credibilità.
Gli alunni che raccontano in televisione il loro pensiero sulla prima guerra mondiale sanno che quanti l’hanno voluta provocando la morte di tanti innocenti non possono essere credibili. E non credibili sono coloro che oggi con la guerra feriscono a morte l’umanità. A chi è ai bordi della cronaca sembra che le parole e i “perché” dei piccoli si trasformino in giudizi severi dai quali non è però escluso il soffio della speranza.
Non si sono lasciati rubare il sogno e, nonostante tutto, riescono a volare in alto per cercare e trovare nel mondo i segni di un ripensamento che precede una conversione. Sono segni che si cercano in primo luogo in famiglia ed è per questo, scrive il gesuita e docente universitario Jean-Pierre Sonnet, che “la parola dei genitori è portatrice di un carico di vita che gli stessi genitori sono lungi dall’immaginare”.
Dal dialogo in famiglia inizia anche quel faccia a faccia tra generazioni fatto di domande e di risposte che si incrociano a partire dalla prima guerra mondiale per continuare nei conflitti di oggi. Un faccia a faccia che coinvolge un nonno sorridente e vestito di bianco circondato da bimbi che chiacchierano con lui mostrando i loro aquiloni che assomigliano tanto ai loro sogni, cioè alla loro voglia di volare non per fuggire ma per guardare il mondo dall’alto. Per portare il mondo in alto.

Paolo Bustaffa

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