I cittadini italiani che hanno più di 65 anni sono 13,5 milioni e raggiungono la percentuale, destinata a crescere, del 21% della popolazione. Sono 3 milioni coloro che assistono a tempo pieno gli anziani non autosufficienti. Tra questi ci sono le 830.000 persone che provengono da altri Paesi e per due terzi sono remunerate in nero.
L’inchiesta, apparsa su un quotidiano nazionale, riaccende i riflettori su una parte importante della società, mentre si susseguono fatti di cronaca nera che hanno visto e vedono molti anziani vittime di una brutale violenza o di un codardo raggiro.
I dati messi in luce dall’inchiesta sono noti da tempo ma non per questo sono meno preoccupanti. Spesso vengono collegati a quell’“inverno demografico” che non sembra affatto intenzionato a lasciare il passo alla “primavera demografica” anche se qualche germoglio s’intravvede.
Le analisi sulla realtà anziana nel nostro Paese si affiancano alla denuncia della disattenzione della politica che si può sintetizzare in quel 50% di anziani non autosufficienti ancora senza assegno per l’assistenza.
A conferma che la politica può invece rispondere a esigenze che si richiamano ai diritti umani, alcuni governi europei hanno preso provvedimenti efficaci per tutelare i cittadini di terza età.
Non si può d’altronde negare che la scarsità di cura degli anziani pone interrogativi sul volto umano della società, sull’indebolirsi del dialogo tra le generazioni, sull’affievolirsi della cultura della solidarietà, sul deficit di politica sociale.
Anche le nuove tecnologie, quando male intese e impiegate, arrivano a giustificare con il loro irrompere nel mondo della conoscenza il progressivo esodo culturale degli anziani.
Le connessioni con la loro velocità rischiano di mettere fuori gioco le relazioni con la loro lentezza.
Se fosse così davvero, prenderebbe spazio la solitudine, il male più grave che affligge gli anziani e poi le altre generazioni.
C’è una letteratura giornalistica a confermarlo soprattutto con la cronaca nera alla quale, peraltro, non spetta il compito di raccontare storie di solidarietà.
Cresce la consapevolezza che su come viene capita e condivisa la fragilità della terza età si misura il livello di umanità di un Paese nel tempo della crisi.
Qualcuno, scrive Christian Bobin, s’interroga di fronte a persone che “amano toccare le mani che qualcuno tende loro, tenerle a lungo nelle proprie mani, e stringerle. Queste persone dall’anima e dalla carne ferite hanno una grandezza che non avranno mai quanti portano la propria vita in trionfo. È con gli occhi che narrano le cose e ciò che vi leggo mi illumina più dei libri”.
Lo scrittore francese ha davanti agli occhi gli anziani malati di Alzheimer, il vocabolario della tenerezza, ricco di volti, e le tabelle statistiche, piene di numeri e di percentuali.
La scelta non è quella di contrapporre l’uno alle altre e viceversa: la tenerezza e la realtà s’incontrano.
Anche perché, commenta Bobin, “è impossibile proteggere dalla sofferenza coloro che amiamo: ho dovuto impiegare molto tempo per imparare una cosa così semplice”.
C’è infine un altro messaggio delle persone anziane che passa attraverso la tenerezza e la realtà. È un messaggio che si fatica a raccogliere perché dice che siamo nati in un mondo che cominciava a non voler più sentir parlare della morte e che oggi ha ottenuto il suo scopo senza capire che così facendo si è condannato a non più sentir parlare della vita, di una vita che attraversa il finito senza mai uscire dall’infinito.
Gli anziani ricordano questo rischio e dicono che forse c’è qualcosa di più freddo dell’inverno demografico.
Paolo Bustaffa