Fa uno strano effetto passare in rassegna le notizie appena lette o ascoltate mentre si cammina lungo il declivio antistante la stazione ferroviaria di Como San Giovanni. Qui, come da tempo riferiscono anche i media nazionali, sostano cinquecento persone che cercano di passare il confine con la Svizzera per raggiungere Paesi europei più a nord.
Lo stesso scenario è a Ventimiglia al confine con la Francia dove ha preso il via l’operazione di alleggerimento. Inutili attese per la stragrande parte di queste persone migranti ma un tempo in cui possono conoscere l’accoglienza o il rifiuto dopo aver già dolorosamente conosciuto l’abbandono da parte dell’Occidente delle loro terre lacerate da guerre, fame, corruzione.
Le pagine dei giornali e le immagini televisive si confrontano con i volti dei bambini in gioco sull’erba oppure in corsa dietro un pallone.
I reportage sullo schieramento delle forze militari nelle aree di conflitto contendono lo spazio mediatico ai servizi sulle Olimpiadi in Brasile.
Al numero delle medaglie d’oro, d’argento e di bronzo fa triste riscontro il numero dei morti, dei feriti, delle persone in fuga dall’orrore e dall’oppressione.
I volti raggianti dei campioni del mondo si spengono in quelli torvi di quanti ordiscono massacri, ordinano bombardamenti, impediscono tregue umanitarie.
Ai bordi della cronaca, accanto ai migranti che a Como aspettano risposte definitive che mai potranno venire da un singolo Paese, le notizie d”agosto sono una compagnia che interroga.
Impediscono di chiudere gli occhi o di girare la faccia da un’altra parte.
Titoli, immagini, articoli formano un ponte tra diverse sofferenze, un percorso fragilissimo tra la speranza e la rassegnazione, tra il rifiuto e l’accoglienza: tra il sonno e l’inquietudine della coscienza.
I pensieri si infittiscono non per fermarsi al giudizio su parole malate ma per trovare e proporre percorsi culturali che portino alla conoscenza, alla ragione, all’incontro.
Creare consenso su questi sentieri di umanità non è affatto facile.
Nessuno sottovaluta la complessità.
A Como l’alleanza tra la comunità cristiana, le istituzioni, il volontariato non solo cattolico e non solo credente, è diventata una sorta di laboratorio di civiltà e cittadinanza che non rinuncia alla denuncia e alla richiesta di soluzioni nazionali e internazionali efficaci ma neppure abbandona tanti esseri umani agli errori e ai ritardi della politica, agli allarmisti di professione, alle spartizioni del potere, agli interessi delle fabbriche di armi e del filo spinato.
Troppo poco? E’ quello che un piccolo territorio di confine, che a sua volta rischia di essere abbandonato a se stesso, può fare con le sue limitate risorse e con la sua grande umanità.
Tra gli alberi del declivio antistante la stazione di Como San Giovanni, che i viaggiatori raggiungono senza difficoltà, sono le tende, si cerca anche di allietare alcune giornate e si prevedono ripari più sicuri perché tra poche settimane le notti non saranno così miti.
Sono piccole pagine di cronaca che diventano tracce di umanità in un territorio dove la bufera di parole malate non neutralizza la brezza dell’anima di una città.
La storia, che si nutre della cronaca, non si stanca di mettere la coscienza di fronte alla scelta di allargare deserti e mari o di coltivare giardini e frutteti.
A questo bivio accompagnano le notizie su carta e su video: non per ignorare la dimensione del piccolo gesto ma arricchirlo di un ulteriore significato, di un ulteriore motivo.
Paolo Bustaffa