Ai bordi della cronaca / L’incubo dei piccoli. Tragedie narrate dai media e diritto dei bimbi alla speranza

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I giornalisti “dichiarano di assumere i principi ribaditi nella Convenzione Onu del 1989 sui diritti del bambino e nelle Convenzioni europee che trattano della materia, prevedendo le cautele per garantire l’armonico sviluppo della personalità dei minori in relazione alla loro vita e al loro processo di maturazione (…)”. cronaca

Questo, tra l’altro, si legge nella “Carta di Treviso” che precisa con minuziosità i doveri da rispettare quando i media si occupano di minori. A questo documento approvato nel 1990 dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti e dalla Federazione nazionale della stampa ha fatto seguito nel 1995 un Vademecum d’intesa con Telefono Azzurro e nel 2006 il testo è stato aggiornato relativamente alla protezione dei dati personali dei minori.

Indubbiamente questi riferimenti etici hanno contribuito e stanno contribuendo alla formazione di una professionalità giornalistica più consapevole della posta in gioco quando si occupa di minori.

Alcuni problemi restano però aperti, non per inosservanza della Carta di Treviso ma per le regole dell’informazione mediatica.

“Mio figlio che ha sette anni – racconta una mamma a un incontro di genitori – ha avuto più di un incubo dopo aver visto in televisione le atrocità compiute dall’Isis nei confronti di persone inermi. A volte mi ha detto che un brusco risveglio ha interrotto l’incubo ma non lo ha cancellato e neppure ha impedito il suo ripetersi”. Un’altra mamma racconta la stessa reazione del figlio di fronte alle immagini del Mediterraneo e del terremoto in Nepal. Un’altra ancora la ripropone per la notizia di un padre che uccide figli e moglie. E così molte altre inquietudini dei genitori si aggiungono. Cosa si può fare, cosa possono fare i media per rispettare la sensibilità e il diritto alla speranza dei bambini senza venir meno al dovere d’informare anche sulla più brutale violenza dell’uomo contro l’uomo?

Il suggerimento, naturale e giusto, è di stare accanto al minore quando i telegiornali raccontano le nuove barbarie il cui lacerante esito finale, pur non essendo descritto, si presenta da se stesso davanti agli occhi e da se stesso entra nella mente di chi osserva, ascolta o legge.

Ma questa risposta dice anche che lo stare accanto, pur indispensabile, non basta perché il pensiero di un bambino non si accontenta di una spiegazione, di un ragionamento, dell’invito ad andare a dormire. Il pensiero del bambino non si ferma, cerca la radice dei fatti e diventa domanda che incalza l’adulto: “Perché?”. E così anche la “Carta di Treviso” non basta.

Ai bordi della cronaca si avverte questo scombussolamento interiore dei piccoli provocato dal racconto mediatico di gesti disumani che non devono e non possono essere nascosti. Ma come raccontare la disumanità senza incastonare di incubi il sonno dei bambini?

Una risposta, salvo quella di non lasciare i piccoli soli davanti al video, non sembra possibile.

Ma un segnale viene dai piccoli stessi, viene da quel bimbo che, in un film apparso in questi giorni, alla domanda sull’uso che farebbe del potere risponde che lo eserciterebbe per dare un pane e un bicchiere d’acqua ai molti bambini che nel mondo soffrono la fame.

Forse allora qualcosa, nello spirito della Carta di Treviso, si può fare senza venir meno alle regole del mestiere e questo qualcosa è porre, con grande professionalità, la notizia del bene accanto a quella del male.

Un accostamento senza commenti, enfasi e paragoni per impedire al racconto del male di diventare un indisturbato e pericoloso ladro di speranza nei pensieri dei piccoli. Per i bambini sarà come avere una piccola luce nell’attraversamento di un tunnel. Sarà un aiuto, anche agli adulti che sono accanto a loro davanti al video, perché i piccoli non diventino o rimangano prigionieri dell’incubo.

Paolo Bustaffa

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