“Abbiamo saputo che quest’uomo ha una figlia malata. Purtroppo. Nel nostro piccolo se vorrà faremo ciò che è nelle nostre possibilità per rendere meno dolorosa e solitaria la sua sofferenza”.
Parole che vengono dalla famiglia Fassi, la famiglia di Maria Luisa uccisa il 4 luglio ad Asti nel suo negozio in città.
Ai bordi della cronaca nell’apprendere la notizia della tragedia, purtroppo una delle molte di questi giorni, si stava pensando alla vittima, alle persone a lei strette nel legame familiare e nello stesso tempo si pensava alla moglie e alle figlie dell’uomo che aveva ucciso.
Si pensava alle persone travolte dalla furia del male.
Anche se provvisoria, anche se piccola, anche se fragile si cercava una risposta che, affiancata a quella delle indagini su moventi, autori e dinamiche, aiutasse a leggere qualcosa in più rispetto al racconto mediatico.
Il segnale per andare oltre il buio c’era stato fin dal primo momento ed era venuto dalle parole del marito di Maria Luisa che rilevavano un grande spessore umano .
Nei giorni successivi quel segnale è diventato una brezza che, senza attenuare il dolore, ha spinto verso altri pensieri un opinione pubblica che nella stagione estiva viene portata e spesso abbandonata sui sentieri della cronaca nera.
Invece è accaduto qualcosa che partendo dal racconto cronachistico ha provocato un movimento non del tutto prevedibile nella mente di tante persone.
A portare la riflessione fuori dalle direzioni proprie della cronaca è stata, tra le altre, un’altra frase rivolta dalla famiglia Fassi a quella dell’autore della morte di Maria Luisa: “La sua famiglia, uccisa anch’essa da un gesto folle non ha colpa per quanto è successo”.
Non è stato necessario che, come spesso accade, un cronista ponesse in modo e in tempo sbagliati la domanda sul perdono.
Sì è andati più in alto aiutati dalla professionalità di una cronista e invitati da una frase di Maria Luisa. Parole dette alla sorella dopo la sosta in un santuario al centro della città di Asti: “Devi assolutamente venire. C’è un profumo meraviglioso di fiori e di una pace che disseta l’anima”.
Non si leggono queste cose tutti i giorni. Non si leggono queste parole nella cronaca nera. Arrivano segnali che interrogano, scuotono, stupiscono.
Sono segnali che non lasciano l’ultima parola alla morte, alla disperazione, al sensazionale, al nulla.
Sono segnali che tolgono la tragedia dai riflettori mediatici per portarla dentro una storia da scrivere con quella tenerezza che ha radici in una esperienza interiore come confermano queste altre parole della famiglia Fassi: “D’ora in avanti quello che accadrà tra la nostra famiglia e la moglie e le figlie del signore arrestato resterà solo una questione nostra e della nostra coscienza”.
C’è da chiedersi, ancora una volta, se da quella che viene definita cronaca nera non venga o non possa venire una luce che improvvisamente supera lo sconforto e e lascia intravvedere un sentiero di speranza. Certo la cronaca non può che essere realismo e guai se così non fosse. Non si può chiedere a un cronista di nera di aggiungere altro al rispetto dell’etica professionale.
E già questo rispetto aiuterebbe l’opinione pubblica a esprimere sulle persone e sui fatti un giudizio libero da buonismo, da cattivismo, da qualunquismo.
Ai bordi della cronaca questi pensieri corrono ogni giorno. È una ricerca di senso, faticosa e sempre aperta, di fronte a tragedie nelle quali ciò che è comprensibile e dicibile si misura con ciò che è incomprensibile e indicibile.
Paolo Bustaffa