Certamente sì: la richiesta di una giusta punizione per tanta violenza contro Milano non può venire meno, mentre una grande folla varca i cancelli di Expo.
Certamente sì: l’invito alla speranza era da cogliere, all’inaugurazione dell’esposizione mondiale, nei cori di due generazioni lontane nel tempo ma sorprendentemente vicine nel chiamare alla vita un Paese e un mondo in affanno.
Certamente sì: un senso di speranza si rafforza nel vedere quante persone e quante famiglie hanno già iniziato a camminare lungo i percorsi di Expo per incontrare profumi, sapori e colori del mondo ma anche le lacrime di chi non ha da mangiare.
Non sembra affatto un popolo di egoisti quello che i media propongono nei loro racconti e nelle loro immagini. Gli egoisti, come gli ideologi, non sono mai mancati e non mancheranno, ma gli uni e gli altri non hanno scritto e non scriveranno pagine di futuro.
Ai bordi della cronaca, nello sforzo di leggere l’insieme oltre il frammento, si assiste ancora al confronto tra un pessimismo totale e un realismo che non intende lasciare l’ultima parola al negativo.
Da sempre questo è il bivio di fronte al quale si pongono i media e la stessa opinione pubblica.
Anche chi è ai bordi della cronaca ha letto con sorpresa che un giovane sostenitore dei devastatori di Milano si è ricreduto, è tornato per ripulire e in un’intervista dice: “Papà si è arrabbiato tantissimo. E pure adesso non mi rivolge la parola. Chiedo scusa anche a lui”.
Qualcosa si è acceso nella coscienza di un ragazzo di 20 anni. È un segno di speranza. Ricorda che il fallimento dell’educare è nell’interruzione della comunicazione, a partire da quella che tiene viva una famiglia.
Tornano alla mente alcune parole di papa Francesco: “La famiglia può essere scuola di comunicazione… anche là dove sembra prevalere l’inevitabilità dell’odio e della violenza”.
Le ha scritte nel messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali che ricorre il 17 maggio.
È lo stesso Papa che chiedeva all’Expo di ricordare coloro che non hanno pane, che non hanno pace e invitava alla globalizzazione della solidarietà.
Potrebbero sembrare parole fuori dalla realtà: cosa può fare mai la famiglia?
Cosa ha fatto la famiglia perché tanta violenza non maturasse al proprio interno? Cosa hanno fatto la cultura, la scuola e la politica perché le famiglie non restassero sole di fronte a immense sfide educative?
Domande che ritornano guardando alla famiglia quale scuola di umanità.
E così papa Francesco ricorda: “Non lottiamo per difendere il passato, ma lavoriamo con pazienza e fiducia, in tutti gli ambienti che quotidianamente abitiamo, per costruire il futuro”.
A chi è ai bordi della cronaca pare che fra gli ambienti in cui oggi è possibile e significativo abitare ci sia, pur con gli inevitabili limiti, anche l’esposizione mondiale che fino al 31 ottobre proporrà il messaggio “Nutrire il Pianeta. Energia per la Vita”. La globalizzazione della solidarietà, la lotta alle ingiustizie che provocano la fame, l’impegno per la difesa e la promozione della vita non possono forse prendere forza anche da un incontro di popoli attraverso i colori, i sapori gli odori dei frutti della terra? Non possono prendere forza anche dalle voci di bambini e adulti che invitano ad amare la vita? Non possono prendere forza dal ripensamento di un giovane dopo fatti violenza? Non possono prendere forza da una comunicazione che trova nella famiglia la prima scuola di solidarietà ?
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