“In Irlanda hanno sede multinazionali come Twitter e Google che si sono schierate per il sì e la gente ha temuto che la vittoria del no avrebbe isolato e danneggiato anche economicamente il Paese”.
Lo afferma, il giorno dopo l’apertura delle urne referendarie, mons. Diarmuid Martin, arcivescovo di Dublino, in un’intervista rilasciata a un quotidiano nazionale italiano a commento del massiccio sì irlandese alle unioni tra persone dello stesso sesso.
Non è l’unica riflessione dell’arcivescovo e, infatti, nelle sue risposte al giornalista, sottolinea anche la necessità di un esame di coscienza della Chiesa irlandese su quanto accaduto, evidenzia una mancata attenzione della stessa Chiesa ai segnali che da tempo annunciavano l’esito, esprime perplessità sulla mancanza di un dibattito parlamentare, annuncia l’aprirsi di nuovi e gravi problemi dopo l’esultanza di quella parte cospicua di popolo che si proclama pioniere nel mondo in tema di diritti.
In un’altra pagina dello stesso giornale è pubblicata un’intervista con un consulente politico inglese di notorietà mondiale, quale è Simon Anholt , che ha come titolo: “Per la terra ci vuole il partito dell’umanità” Anholt ad un certo punto afferma che “secondo il Good Country Index, il Paese che fa meglio in ambito internazionale rispetto al volume dell’economia è l’Irlanda. Sono dati del 2010”.
Allora chi è ai bordi della cronaca si chiede se la considerazione dell’arcivescovo di Dublino non metta in rilievo un problema, non solo irlandese, che riguarda aspetti particolari del rapporto tra etica e mercato, tra valori umani e valori finanziari.
Una domanda, per ora solo una domanda. A farla nascere è anche papa Francesco che il 23 maggio, rivolgendosi alle Acli, è tornato a denunciare un sistema economico mondiale dove al centro “c’è un idolo, il dio-denaro. E’ questo che comanda! E questo dio-denaro distrugge, e provoca la cultura dello scarto”.
Non c’è alcun riferimento alla vicenda irlandese ma non sembra fuori luogo cogliere nella parole di papa Francesco un allarme sull’azione che il denaro può esercitare anche su specifiche questioni etiche.
La “cultura dello scarto” non riguarda solo le questione economiche e sociali, con ricadute sugli anziani, sui poveri e sui giovani disoccupati, ma si allarga alle questioni che riguardano il matrimonio tra un uomo e una donna, la famiglia, i figli e la stessa vita.
Alle derive disastrose della corruzione, della illegalità, dello sfruttamento che in questi giorni sono raccontate dai media se ne aggiungono altre e non meno gravi.
Le segnala l’arcivescovo di Dublino quando dice che è prevalsa “un’idea individualistica della famiglia” e “si è smarrito il concetto del matrimonio come elemento fondamentale di coesione sociale”.
In questa situazione, aggiunge mons. Martin, “un’argomentazione sull’etica sociale non ha successo”.
Non è certo un segnale di rassegnazione o di resa: è un richiamo alla responsabilità dei cristiani e di quanti, come loro, hanno a cuore il futuro dell’umanità.
Qualcosa da cogliere è anche nelle parole di Simon Anholt che nell’intervista citata afferma: “Ho fiducia nella natura umana. Vedo il futuro come una sfida emozionante. L’umanità ha una fiera tradizione in fatto di sfide. E viviamo in un’epoca di grandi sfide. Quindi mi aspetto cose meravigliose e già le vedo ovunque”.
Neppure qui c’è un riferimento all’esito del referendum popolare irlandese ma nell’affermazione si può leggere un appello a non temere le sfide, a non sottovalutarle e neppure a tacerle.
C’è piuttosto un invito forte a far sì che la verità bussi alla porta della coscienza per avvertirla che il futuro dell’umanità non è in quel sì irlandese ed è oltre quel cielo d’Irlanda.
Paolo Bustaffa