Un “esercito di scoraggiati”. Così nei giornali di questi giorni viene definita quella moltitudine di persone, soprattutto giovani, che nel nostro Paese non hanno più fiducia nel futuro e neppur più in se stessi. Eurostat, istituto Ue di statistica, quantifica questo esercito in 3,6 milioni di cittadini italiani pari al 14,2% della nostra forza lavoro, il triplo della media europea che è poco più del 4%. Sempre secondo Eurostat queste persone disponibili a lavorare ma che non cercano più un impiego si aggiungono a 3,4 milioni di altri disoccupati. La notizia non è certo una novità e invano in questi mesi si sono attesi segnali che facessero tirare un più percettibile respiro di sollievo.
Il dato della sfiducia in tutto e in tutti non può lasciare tranquilla la politica, la società e l’economia. E neppure la Chiesa. Dalle parole di papa Francesco la comunità cristiana si sente chiamata in causa nel rendere credibile ed efficace la sua dottrina sociale, nel rivedere la sua proposta educativa in ragione di una sfiducia che trova nel sentirsi abbandonati molti motivi per diffondersi soprattutto tra i giovani.
Certamente la Chiesa non ha soluzioni tecniche da proporre. Il suo appellarsi alla coscienza si intensifica ma diventa sempre più urgente, sul territorio, un suo accompagnamento di tante persone nel recupero di fiducia in se stessi. Ai bordi della cronaca, sempre densa di dati, racconti e dibattiti, si rafforza la domanda su cosa potrebbe fare la comunità cristiana in una crisi in cui la vita dell’uomo viene messa a dura prova.
Certamente occorrerà sempre denunciare con forza le derive di sistemi economici che annullano la dignità delle persone, occorrerà sempre indicare percorsi per una economia rispettosa dei diritti umani e non solo delle regole del mercato, occorrerà sempre promuovere iniziative sul territorio per dare lavoro ma di fronte al diffondersi della sfiducia occorre compiere qualche altro passo. Occorre rompere la crosta della solitudine e della rassegnazione attraverso una più competente prossimità. Occorre creare più luoghi e momenti in cui giovani sfiduciati possano incontrarsi e confrontarsi con gli adulti. E’ necessario sostenere una cultura della resistenza contro una cultura della resa.
I principi della dottrina sociale non sono per essere citati ma per essere concretizzati in scelte efficaci e così occorre alzare di molto le percentuali di attenzione che la comunità cristiana dedica alla questione sociale rispetto ad altri pur importanti ambiti quali la catechesi, a carità, la liturgia… Si sta consumando almeno una generazione nel rogo della crisi e con essa si bruciano progetti di vita e futuro. Si dirà che ci sono giovani che reagiscono con la loro creatività: è vero ma quei 3.6 milioni di sfiduciati non sono un’invenzione statistica.
Ai bordi della cronaca ecclesiale si vede un ampliamento dello spettro di quella cultura dello scarto che papa Francesco riferiva in particolare agli anziani. Oggi c’è anche l’urgenza di non lasciare soli i giovani che sono sulle pericolose frontiere della sfiducia, della rassegnazione, della depressione per la precarietà, la disoccupazione, l’umiliazione. Qualcuno, sul territorio, li ha chiamati per condividere la loro fatica di vivere, per elaborare la loro sofferenza, per rompere una solitudine, per aiutarli a non farsi rubare la dignità e la speranza. Qualcun altro li chiamerà?
Paolo Bustaffa