“Un professore universitario disse a un allievo ‘Le do trenta senza lode perché sa tutto ma non ha capito niente’. Sì noi non sapevamo niente ma avevamo capito tutti”. Così, tempo addietro, Giovanni Marcora, leader politico e uomo di governo, concludeva una nota sulla Resistenza e sul “25 aprile 1945”.
Partigiano, con il nome di “Albertino”, aveva lottato per la libertà, la giustizia e la democrazia. Aveva fatto parte di quei “ribelli per amore” che si erano spinti fino al sacrificio estremo per difendere la dignità della persona. Oggi, Marcora, come molti altri, è uno sconosciuto personaggio di una stagione politica dimenticata. Questo duplice oblio è il segno di uno smarrimento della memoria. È il segno di un vuoto che ha impoverito, se non svuotato, il significato del “25 aprile”.
Ma di fronte alle immagini di morte e disperazione che vengono oggi dal Mediterraneo c’è un impoverimento e uno svuotamento che vanno oltre una ricorrenza.
Si sono fatti e si fanno paragoni tra una tragedia consegnata alla storia e quelle che sono sotto gli occhi di un mondo che forse sa tutto ma non capisce niente. Forse non capisce le origini della bufera di disperazione che spinge interi popoli verso una parte del mondo che ha eretto un muro culturale prima che politico a sua difesa. Si è chiusa la memoria in una gabbia dorata e si è lasciato spazio a un realismo sterile, senza speranza.
E così tutte quelle vite spezzate e tutte quelle speranze distrutte rimangono perlopiù nelle statistiche, negli archivi, nelle immagini, nei libri che nessuno legge perché non più d’attualità. E l’attualità, a sua volta, viene cancellata dal rapidissimo susseguirsi di racconti di barbarie e tragedie.
Si continua a conoscere tutto e a non capire niente: quel 30 rimane senza lode. Il “25 aprile”, se strappato dalla cronaca, rischia di diventare una festa perduta, una festa da lasciare nel vuoto. Cosa può dire mai di fronte all’immane tristezza, se non angoscia, di oggi? Giuseppe Lazzati, a 70 anni distanza da quel giorno, lascia una risposta: “La Resistenza continua. E non per pochi ma per tutti, quale che sia il settore e il livello nei quali si opera; continua nel rifiuto della violenza; e nella volontà di confronto, leale e aperto, con il coraggio della verità e la pazienza del mutuo rispetto”.
Il non aver saputo dare forma a quegli ideali, minaccia di far perdere il senso profondo di quella Resistenza che è nella difesa e nella promozione della dignità dell’uomo quale cittadino del mondo.
Le pagine in carta e in video, dedicate in questi giorni al “25 aprile” dolorosamente accostate a quelle dell’ecatombe nel Mediterraneo spingono, chi siede ai bordi della cronaca a chiedersi e a chiedere di quale Resistenza si possa oggi parlare .
I titoli mediatici offrono un infinito elenco di gridi d’allarme, di racconti di tragedie e di violenze. Parlano di guerra mondiale a frammenti, di terrorismi incontrollabili, di un mare trasformato in cimitero, di globalizzazione dell’indifferenza, di solidarietà degli egoismi…
Una nuova Resistenza alla barbarie tarderà a prendere forma e sostanza? Un così drammatico scenario mondiale respingerà le parole d’ordine, scuoterà le coscienze delle persone, dei popoli e dei loro governanti?
Ci saranno ancora “ribelli per amore” all’odio, alla rassegnazione, all’abbandono in mare?
Le risposte non sono facili anche perché sappiamo tutto ma non capiamo molto. Meritiamo quel 30 senza lode.
Partigiano, con il nome di “Albertino”, aveva lottato per la libertà, la giustizia e la democrazia. Aveva fatto parte di quei “ribelli per amore” che si erano spinti fino al sacrificio estremo per difendere la dignità della persona. Oggi, Marcora, come molti altri, è uno sconosciuto personaggio di una stagione politica dimenticata. Questo duplice oblio è il segno di uno smarrimento della memoria. È il segno di un vuoto che ha impoverito, se non svuotato, il significato del “25 aprile”.
Ma di fronte alle immagini di morte e disperazione che vengono oggi dal Mediterraneo c’è un impoverimento e uno svuotamento che vanno oltre una ricorrenza.
Si sono fatti e si fanno paragoni tra una tragedia consegnata alla storia e quelle che sono sotto gli occhi di un mondo che forse sa tutto ma non capisce niente. Forse non capisce le origini della bufera di disperazione che spinge interi popoli verso una parte del mondo che ha eretto un muro culturale prima che politico a sua difesa. Si è chiusa la memoria in una gabbia dorata e si è lasciato spazio a un realismo sterile, senza speranza.
E così tutte quelle vite spezzate e tutte quelle speranze distrutte rimangono perlopiù nelle statistiche, negli archivi, nelle immagini, nei libri che nessuno legge perché non più d’attualità. E l’attualità, a sua volta, viene cancellata dal rapidissimo susseguirsi di racconti di barbarie e tragedie.
Si continua a conoscere tutto e a non capire niente: quel 30 rimane senza lode. Il “25 aprile”, se strappato dalla cronaca, rischia di diventare una festa perduta, una festa da lasciare nel vuoto. Cosa può dire mai di fronte all’immane tristezza, se non angoscia, di oggi? Giuseppe Lazzati, a 70 anni distanza da quel giorno, lascia una risposta: “La Resistenza continua. E non per pochi ma per tutti, quale che sia il settore e il livello nei quali si opera; continua nel rifiuto della violenza; e nella volontà di confronto, leale e aperto, con il coraggio della verità e la pazienza del mutuo rispetto”.
Il non aver saputo dare forma a quegli ideali, minaccia di far perdere il senso profondo di quella Resistenza che è nella difesa e nella promozione della dignità dell’uomo quale cittadino del mondo.
Le pagine in carta e in video, dedicate in questi giorni al “25 aprile” dolorosamente accostate a quelle dell’ecatombe nel Mediterraneo spingono, chi siede ai bordi della cronaca a chiedersi e a chiedere di quale Resistenza si possa oggi parlare .
I titoli mediatici offrono un infinito elenco di gridi d’allarme, di racconti di tragedie e di violenze. Parlano di guerra mondiale a frammenti, di terrorismi incontrollabili, di un mare trasformato in cimitero, di globalizzazione dell’indifferenza, di solidarietà degli egoismi…
Una nuova Resistenza alla barbarie tarderà a prendere forma e sostanza? Un così drammatico scenario mondiale respingerà le parole d’ordine, scuoterà le coscienze delle persone, dei popoli e dei loro governanti?
Ci saranno ancora “ribelli per amore” all’odio, alla rassegnazione, all’abbandono in mare?
Le risposte non sono facili anche perché sappiamo tutto ma non capiamo molto. Meritiamo quel 30 senza lode.
Paolo Bustaffa