Nella colonnina di spalla di una pagina interna di un quotidiano nazionale è apparsa in questi giorni la notizia che la città di Fossano (Cuneo) ha deciso di dedicare una via a Lea Garofalo uccisa nel 2009 dalla ‘ndrangheta su ordine del suo ex compagno Carlo Cosco.
La città piemontese – lontana milleduecento chilometri da Petilia Policastro in provincia di Cosenza, paese natale di Lea Garofalo – anche con questo gesto intende esprimere il suo impegno contro le infiltrazioni mafiose nelle opere pubbliche e, soprattutto, nella cultura di un popolo.
La notizia sarà giunta a Denise, la figlia di Lea, che ha seguito e segue l’esempio della madre e, per questo motivo, è sotto protezione, cioè è costretta a una vita di pesanti privazioni.
Denise era al funerale della madre celebrato a Milano il 19 ottobre 2013. Lei stessa lo aveva voluto e aveva deciso di essere presente anche se chiusa, per motivi di sicurezza, nella palazzina comunale che ospita il comando della polizia locale. L’eco del suo “ciao mamma”, risuonato in quel giorno in piazza Beccaria, è arrivato anche alla città piemontese che ha deciso d’intitolare una via a sua madre.
In questo angolo del Nord, come in altri, sono arrivate anche le parole di don Luigi Ciotti, presidente di Libera, che aveva accolto la richiesta di Denise di celebrare quei funerali. “Lea – aveva detto don Ciotti – hai seguito la tua coscienza per rompere un codice di odio e di mafiosità. Hai condotto con le tue piccole, grandi forze la tua scelta di libertà. Lea, hai visto, sentito e testimoniato”.
Parole che, grazie ai media, hanno raggiunto e scosso l’opinione pubblica. Fossano le ha tradotte nella decisione di scrivere il nome di una nuova via nella coscienza dei suoi cittadini prima ancora che nello stradario della città.
Nella decisione s’intravvede il filo che unisce il Nord e il Sud del Paese e che è la domanda di legalità e di onestà a fronte del ripetersi continuo e sconcertante di fatti d’illegalità, disonestà e mafiosità.
Chi cammina ai bordi della cronaca, pensa allora che la piccola notizia di una via dedicata a una donna uccisa perché lottava contro lo squallore mafioso, avrebbe meritato più spazio. Ovviamente senza ridurre quello da riservare, purtroppo, ad altre sconvolgenti tragedie.
Non si tratta di giudicare e neppure di sottovalutare le priorità mediatiche ma è importante rafforzare il messaggio educativo che viene da notizie apparentemente piccole come è, appunto, quella di “Via Lea Garofalo”.
Tocca anche ai lettori non lasciarle ai margini e portarle al centro del pensiero e dell’impegno. Portarle alla porta della coscienza perché rimanga vigile e si possa opporre con la forza della ragione all’irrompere del male.
Se una donna viene uccisa perché rompe il silenzio del male mafioso, se per questo suo coraggio una città decide di dedicare a lei una via, se un giornale rende notizia questa decisione, significa che nel nostro Paese la responsabilità, la speranza e il coraggio non si sono spenti.
Una prova è nelle parole di Marina che, riferendosi alla scelta di dedicare una via alla sorella, dice: “Porterò sempre avanti la testimonianza di Lea affinché un giorno i nostri figli possano dire che le mafie non esistono più”. Un sogno? Il percorso della legalità e dell’onestà è fatto di libertà e di dignità. Qualcuno lo ha già intrapreso, qualcun altro lo può intraprendere partendo proprio da “Via Lea Garofalo” in Fossano, provincia di Cuneo.
Paolo Bustaffa