“Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare”.
Sono parole di Martin Niemöller, teologo e pastore protestante tedesco divenuto fiero oppositore al nazismo dopo averne conosciuto il vero volto.
Il suo pensiero segue il fiume delle notizie su zingari, immigrati e profughi nel tentativo di rallentare la velocità della corrente e creare spazi per una riflessione oltre le polemiche e le parole d’ordine.
L’amarezza del pastore protestante va correttamente posta in un contesto culturale e politico assai diverso da quello attuale ma questa doverosa avvertenza non lo indebolisce, al contrario lo rafforza.
A loro volta i diversi soggetti che il pensiero coinvolge esigono una riflessione su misura e anche questo doveroso rispetto della diversità non riduce anzi ravviva la forza del pensiero.
Le parole di Niemöller non tolgono una briciola di senso al necessario rapporto tra solidarietà e legalità, tra accoglienza e sicurezza.
Il pensiero forza però le polemiche tra le diverse parti politiche e culturali: non le sottovaluta, non le snobba, neppure le giudica. Si spinge in avanti nell’estremo tentativo di indicare un orizzonte che non sia quello della paura, del rifiuto e dell’egoismo perché in questa direzione la politica e la cultura si perderebbero. Comunque non si avvicinerebbero alla meta di un’umanità riconciliata.
Compito difficile, se non impossibile, per il pensiero di Niemöller.
Il realismo esige saggezza di fronte a un fenomeno di proporzioni universali che vede tanta gente in fuga dalla morte, dalla tortura, dalla violenza, dalla distruzione psicologica.
Basterà il sospetto che tra tante persone in fuga si nascondano dei malvagi e dei terroristi per abbandonarla alla deriva? La politica, i governi nazionali e internazionali nel rispondere a un problema di crescenti dimensioni, potranno davvero fermarsi all’impiego di forze militari e al varo di leggi a senso unico?
Ad arginare questa tragedia basteranno il respingimento in mare, la sospensione di Schengen, le quote Ue, la gendarmeria o la polizia alla frontiera e alle stazioni ferroviarie, l’addossare a un solo Paese una responsabilità così grande?
Risposte difficili ma non c’è molto tempo da perdere perché, sembra avvertire Niemöller, qualcuno sta arrivando “a prendere me”.
Non verranno oggi a “prendere me” con armi e manette, come accadde per il pastore protestante. Verranno, forse sono già arrivati, come abili ladri che sollevano molto rumore per poter agire indisturbati nel furto. Non sarà un’azione fulminea ma una progressiva e quasi impercettibile demolizione della coscienza.
C’è però qualcuno che si oppone. Ad esempio quell’uomo che passando in una stazione ferroviaria o tra gli scogli del mare occupati dai disperati dice al microfono di una tv nazionale: “Mi fanno pena”.
È poco? Sì, è troppo poco ma è una fessura nella crosta dell’indifferenza e del rifiuto. Occorre che il segnale raggiunga la coscienza di altri, la coscienza del mondo.
E qui i media possono davvero fare molto anche in coerenza con il loro compito fondamentale rispetto alla giustizia, alla pace, alla dignità e ai diritti delle persone.
Ma occorre muoversi prima che qualcuno addormenti la coscienza e poi venga “a prendere me”.
Paolo Bustaffa