Allergie ai farmaci, brevettato nuovo test dell’Irma

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Massimo Caruso e Pier Luigi Di Giuseppe, i ricercatori che hanno messo a punto il nuovo test

In questi giorni l’Istituto IRMA di Acireale ha depositato la domanda di brevetto del nuovo metodo per la diagnosi di ipersensibilità di tipo ritardato a farmaci, messo a punto nei laboratori di flussocitometria dell’Istituto acese. A causa della loro frequenza e del loro impatto sulla salute, le reazioni avverse a farmaci, conosciute come ADR (da Adverse Drug Reaction), costituiscono un rilevante problema di rischio clinico. Generalmente il classico shock anafilattico conseguente all’assunzione di farmaci è immediato, tuttavia alcune reazioni avverse a farmaci possono accadere anche a distanza di parecchie ore dalla loro assunzione. In diversi studi sono state rilevate incidenze di reazioni avverse a farmaci dal 6% al 20% in pazienti ospedalizzati nell’arco di un anno, prevalentemente anziani. Addirittura in questi soggetti le ADR registrano punte d’incidenza del 61,8%. Questo comporta enormi spese per il Servizio Sanitario Regionale ed un notevole spreco di posti letto che potrebbero essere meglio gestiti se si potesse prevedere la sensibilizzazione di un soggetto ad un farmaco e dunque evitarne la somministrazione .

Per risolvere questo problema, in passato, si ricorreva frequentemente ai test in vivo, effettuati direttamente sulla pelle o per via orale sul soggetto “a rischio”, al fine di osservarne le reazioni; in pratica il paziente veniva usato come una sorta di “cavia”. Questi test (escludendo pochi farmaci come ad esempio le penicilline) non hanno affidabilità e presentano numerose criticità. Infatti, non solo durante il test il paziente rischia una reazione anafilattica più o meno grave, ma anche nelle ore e nei giorni successivi al trattamento. Nella casistica dell’Istituto figurano soggetti che avevano eseguito il test di induzione intradermica in ambiente ospedaliero, i quali hanno avuto reazioni avverse di severa entità verificatesi da 32 a 72 ore dalla dimissione. La cosa più grave è che in questo caso il paziente ha ottenuto un referto rilasciato dall’ospedale che certificava l’assenza di rischi nell’assumere un dato farmaco. A ciò si aggiunga il fatto che la reazione  anafilattica avviene in ambiente non protetto e quindi il rischio clinico è molto elevato.

A volte la reazione non si presenta neanche dopo la dimissione, tuttavia il paziente viene sensibilizzato dal farmaco testato. Per tale sensibilizzazione “iatrogena” (cioè causata da cure mediche) il direttore dell’Istituto Giovanni Tringali ha coniato il termine “sensibilizzazione diagnostica” la quale prepara il sistema immunitario del soggetto a rispondere in maniera severa al successivo contatto con la molecola farmacologica testata. In questo caso il medico, forte del referto clinico negativo, prescriverà il farmaco in questione al soggetto, esponendolo ad un grave rischio di shock anafilattico la cui responsabilità ricade sempre sul medico prescrittore. Per le reazione immediate a farmaci sono disponibili dei test in vitro sensibili, specifici e ripetibili, chiamati BAT (Basophil Activation Test) o test di stimolazione dei Basofili) e che si basano sulla stimolazione in vitro di cellule vive del sangue (basofili) con i farmaci da testare (principi attivi o eccipienti) e la successiva rilevazione di marcatori specifici di attivazione cellulare (CD63 e CD203c).

Questi esami, eseguiti presso l’IRMA da oltre un decennio hanno risolto il problema della diagnosi di ipersensibilità di tipo immediato a farmaci (che avviene antro un’ora dall’assunzione), tuttavia essi non riescono a diagnosticare le reazioni ritardate, quelle cioè che si manifestano da 1 a 72 ore circa dall’assunzione del farmaco e che vedono come protagonisti attivi non i basofili, bensì i linfociti T. L’unico test ad oggi dotato di una certa validità per lo studio delle reazioni ritardate ai farmaci in vitro, indaga sull’incremento di cloni di linfociti T reattivi specificatamente verso un dato farmaco testato. Tuttavia, si tratta di un esame complesso non effettuabile routinariamente che utilizza il Trizio, che è una sostanza radioattiva.

A parte la complessità, la durata e la scarsa riproducibilità del metodo, la valutazione dei valori soglia per definire quando si debba considerare un risultato positivo o meno è una questione ancora non ben definita. Il metodo alternativo messo a punto dai ricercatori dell’IRMA, coordinati dal ricercatore Massimo Caruso e dal suo assistente Pier Luigi Di Giuseppe sotto la direzione scientifica di Giovanni Tringali, permette di ottenere una rapida risposta al quesito diagnostico. L’esame è di facile applicabilità nella maggioranza dei laboratori di analisi sia pubblici che privati dotati di una sezione specializzata di flussocitometria, poiché prevede solo la marcatura e lettura dei campioni di sangue in citometria a flusso, evitando l’impiego di isotopi radioattivi. L’esame, già disponibile all’Istituto di ricerca acese, aggiunge un tassello importante alla gamma di esami specialistici necessari per diagnosticare le farmaco-sensibilizzazioni che pongono in tale ambito l’Istituto acese tra i più qualificati a livello nazionale per valutare il rischio clinico conseguente all’assunzione di farmaci.

In foto: a sinistra il dott. Massimo Caruso e il dott. Pier Luigi Di Giuseppe durante la discussione di una tesi sperimentale di laurea redatta presso l’I.R.M.A.

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