C’era una volta la campagna elettorale. I più anziani ricordano sicuramente quei bei periodi pre-elettorali caratterizzati da macchine che giravano per le città con gli altoparlanti a tutto volume con cui si pubblicizzava l’uno o l’altro partito, il tale o tal altro candidato, con accompagnamento di musiche, slogan, voci stentoree per maggiormente impressionare i possibili elettori.
E poi c’erano quei bei comizi in piazza, in cui si capiva quali erano i candidati più adatti sulla base delle promesse elettorali e del modo come si sapevano presentare alle folle, ma si poteva anche tastare il polso della situazione constatando quante erano le persone ad ascoltare: perché c’erano comizi che muovevano folle oceaniche, mentre ce n’erano altri in cui gli ascoltatori erano pochissimi che quasi si vergognavano di essere lì e stavano in ordine sparso, lontano dal palco, come se stessero passando di lì per caso. E chi non si ricorda – ancora – tutti quei bei manifesti, di tutte le misure, che coprivano le facciate dei palazzi, le saracinesche dei negozi e qualunque spazio potesse essere raggiunto e utilizzato all’uopo, oltre che – naturalmente – gli appositi spazi predisposti dal Comune che tuttavia non bastavano mai, perché le gigantografie con le facce sorridenti o ammiccanti dei candidati durante la notte spuntavano dappertutto, salvo a cambiare durante la notte successiva, perché le notti erano animate da frotte di ragazzini – inutilmente inseguiti dai tutori dell’Ordine – armati di secchi di colla e di scopettoni che facevano a gara a ricoprire, con i propri, i manifesti degli altri, per cui ogni mattina il panorama urbano era diverso da quello del giorno prima.
C’era una volta la campagna elettorale, appunto. Perché adesso le cose sono completamente cambiate: niente più auto strombazzanti per le strade, niente più comizi, pochissimi manifesti negli spazi appositi che restano tristemente semivuoti. Adesso la campagna elettorale si fa in maniera soft, adesso ci sono le convention nelle sale teatrali o cinematografiche, o gli incontri ristretti nelle sale riservate dei caffè o dei circoli culturali; mentre l’informazione personale si fa col passaparola o con le figurine, i cosiddetti “santini”.
I “santini”, appunto. Qualcuno li ha addirittura collezionati, incoraggiato da una tipografia locale che ne ha stampati parecchi, ed ha pure predisposto l’album dove attaccarli; e la stessa tipografia ha perfino organizzato un incontro per lo scambio dei doppioni.
Un nostro amico è riuscito a raccoglierne ben 290, su 347 candidati per il Consiglio comunale di Acireale, con uno scarto di solo 57 figurine. Facce di giovani e di vecchi, uomini, donne, belle ragazze e baldi giovanotti: c’è di tutto in queste figurine, chi si propone di fronte e chi di profilo; e qualcuno ha magari pubblicato una doppia versione della propria immagine, o perché non soddisfatto/a della prima prova, o perché – come pare in qualche caso – ha tentato all’ultimo momento un ritocco al fotoshop. Qualcuno non si è nemmeno sprecato a stamparsi il “santino”, perché non era interessato alla competizione elettorale essendo stato infilato dentro una lista solo come riempitivo, e che probabilmente non prenderà nessun voto, nemmeno il proprio, perché qualche candidato – ci risulta – non ha neppure la residenza nel Comune di Acireale e quindi non potrà votare nella nostra città.
L’amico di cui sopra ha attaccato coscienziosamente i suoi “santini” nell’album ufficiale, ma ha pure predisposto un bel tabellone che ha messo ben in mostra nel suo negozio. E la cosa bella di questa situazione è che il nostro amico nel suo negozio vende mattonelle, rubinetti e sanitari. E quindi, come dimostrano le foto che pubblichiamo, le “figurine” si trovano sicuramente nel contesto giusto.
Nino De Maria