Arrivano quasi ogni giorno le segnalazioni ad ACS (Aiuto alla Chiesa che soffre), la fondazione pontificia che si occupa dei problemi dei cristiani perseguitati nel mondo. Arrivano soprattutto dal Medio Oriente, ma anche dall’Africa e dall’Europa orientale.
Le ultime comunicazioni riguardano i rifugiati iracheni in Turchia, dove – denuncia don Andrés Calleja, direttore dell’opera dei Padri Salesiani di Istanbul – i profughi sono costretti a sopportare lunghe attese in cerca di un visto per raggiungere Canada, Europa e Stati Uniti. «In media aspettano da tre a quattro anni – dice don Andrés – durante i quali agli adulti non è permesso lavorare e ai bambini non è consentito frequentare la scuola». ACS sostiene da molti anni il programma di assistenza ai rifugiati dei padri salesiani di Istanbul, i quali si prendono cura delle famiglie irachene giunte in Turchia, cercando di dare un’adeguata istruzione ai bambini (molti dei quali non sanno neanche leggere e scrivere perché in Iraq, a causa della mancanza di sicurezza, i genitori preferiscono tenerli a casa), e di fornire un’abitazione e un lavoro agli adulti, ma, soprattutto, «Un grande supporto di tipo sociale, in modo che, una volta raggiunte le antitetiche società occidentali, non siano sopraffatti dalle difficoltà di integrazione».
Anche in Siria la situazione è molto grave. «La Siria è in un vicolo cieco. E non vi è alcuna soluzione all’orizzonte». L’arcivescovo maronita di Damasco, monsignor Samir Nassar, descrive così ad ACS-Italia l’attuale momento siriano. Oltre alle violenze, qui c’è pure una crisi economica con una inflazione galoppante che ha ridotto il potere d’acquisto della lira siriana di oltre il 60% in pochi mesi. Il morale dei cittadini è pessimo e il futuro talmente incerto che «alla fine di ogni messa i fedeli si dicono addio». Il 23 dicembre scorso, nella capitale siriana sono scoppiati due ordigni e il 6 gennaio un kamikaze si è fatto esplodere a soli 900 metri dall’arcivescovado uccidendo 25 persone. Solo poche decine di fedeli hanno assistito alla messa di Natale e i bambini che frequentano il catechismo non sono che una ventina.
Ma abbiamo segnalazioni pure dalla Nigeria, dove oltre 35 mila persone hanno abbandonato il nord della Nigeria. «La popolazione è nel panico – riferisce una fonte – e sono in molti a scappare, lasciando il poco che possiedono. Non hanno il tempo di prendere nulla, perché nessuno può sapere quando scoppieranno altre violenze». Tra chi cerca di mettersi in salvo è altissimo il numero dei cattolici, colpiti il 22 gennaio nello stato di Bauchi da due esplosioni che hanno semidistrutto due Chiese della capitale mentre nella città a maggioranza musulmana di Tafawa Balewa, durante il coprifuoco indetto dal governo, alcuni uomini armati hanno ucciso dieci fedeli.
Ma anche in Bosnia-Erzegovina, dall’altra parte dell’Adriatico (nel territorio della ex Jugoslavia), i cristiani, 20 anni dopo lo scoppio della guerra dei Balcani, continuano ad essere discriminati. Questo è quanto ha affermato Anton Maric, sacerdote della diocesi di Banja Luka. La denuncia parte anche dal cardinale Vinko Puljic, arcivescovo di Sarajevo. L’accordo di Dayton del 1995, oltre a sancire la fine del conflitto civile jugoslavo, stabilì la suddivisione della Bosnia Erzegovina in Federazione croato-musulmana e Repubblica Srpska. «In quest’ultima la pulizia etnica è di fatto consentita, con il bene placito della comunità internazionale» dichiara il porporato. Ma anche i cattolici che vivono nella Federazione croato-musulmana sono altrettanto discriminati. «Tutto qui è in mano ai musulmani – afferma mons. Puljic – e provano in ogni modo a farci lasciare il Paese». Le cariche politiche sono monopolio degli islamici, i fedeli sono svantaggiati nella ricerca di un posto lavoro e molte delle proprietà confiscate alla Chiesa durante il periodo comunista non sono state ancora restituite.
«In Pakistan scegliere di dedicare la propria vita a Dio non è facile». Don Ryan Joseph, un giovane sacerdote ventisettenne nato a Karachi, ha desiderato farsi prete sin da bambino, e adesso è ben cosciente che la sua scelta potrà costargli molto, perfino la vita, eppure è sereno. «Per molti la persecuzione e il martirio di cui parlano le Sacre Scritture appartengono ad un passato molto remoto – spiega – ma per noi preti pachistani sono parte della vita di ogni giorno». La sua maggiore preoccupazione è quella di proteggere le giovani cristiane costrette a legarsi a uomini musulmani: «troppe volte ho visto queste povere ragazze usate e poi abbandonate».
Il 31 gennaio scorso ACS ha celebrato nella Basilica di Santa Maria in Trastevere, a Roma, con una messa celebrata dal Cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, il IX anniversario della scomparsa del suo fondatore padre Werenfried van Straaten. E’ stata un’occasione, per tutti i partecipanti, per offrire la propria preghiera per la Chiesa perseguitata, in aggiunta a quanto di concreto fa quotidianamente in questo senso la fondazione.
Nino De Maria