Primo Angelus dopo l’annuncio della sua rinuncia al Pontificato, e all’inizio del tempo di Quaresima, quaranta giorni per ricordare il tempo trascorso da Gesù nel deserto; quaranta come gli anni che Noè passò nell’Arca, come il tempo trascorso nel deserto da Mosè assieme al suo popolo. Tempo di purificazione, di rinnovamento. Tempo per ricalibrare la vita con lo sguardo fisso alle nostre relazioni con Dio, con gli altri, con il creato.
Tempo di conversione e di penitenza in preparazione alla Pasqua per “rinnovarsi nello spirito” e per “ri-orientarsi decisamente verso Dio, rinnegando l’orgoglio e l’egoismo per vivere nell’amore”.
Per Benedetto XVI questa prima domenica di Quaresima è stata anche occasione per ringraziare per i tanti segni di affetto venuti a seguito della sua decisione; così ai fedeli, si parla di più di centomila persone tra piazza San Pietro e via della Conciliazione, dice: “Grazie di essere venuti così numerosi. La vostra presenza è un segno dell’affetto e della vicinanza spirituale che mi state manifestando in questi giorni. Vi sono profondamente grato”.
Il mercoledì delle ceneri ci ha ricordato che la vita di ognuno di noi è come quel pizzico di cenere che abbiamo ricevuto sulla testa; polvere è il nostro orgoglio, il desiderio di prevalere, il nostro sentirci tranquilli, il potere. Nella prima domenica di Quaresima troviamo il celebre brano evangelico delle tentazioni; la triplice tentazione: l’egoismo, l’orgoglio, il potere e la gloria. Gesù resiste al grande tentatore, al demonio: non di solo pane vive l’uomo, dirà di fronte alla richiesta di trasformare le pietre in pane. Il Signore, Dio tuo, adorerai, sarà la risposta alla richiesta di prostrarsi per avere tutti i regni della terra. Non metterai alla prova il Signore Dio tuo, ribadirà di fronte alla terza tentazione, quella di gettarsi dal punto più alto del tempio per essere aiutato dagli angeli che interverranno in suo soccorso perché lui è il figlio di Dio.
Questi quaranta giorni che abbiamo di fronte fino alla Pasqua, sono un cammino da percorrere per riscoprire la fede in Dio come criterio base della nostra vita, afferma Benedetto XVI all’Angelus; e questo comporta sempre “una lotta, un combattimento spirituale, perché lo spirito del male naturalmente si oppone alla nostra santificazione e cerca di farci deviare dalla via di Dio”.
All’origine di ogni peccato c’è la tentazione di pensare, illudendoci, di poter fare da soli, di decidere della nostra vita. Andare nel deserto e digiunare è per Gesù un modo di ricordare a tutti noi l’essenzialità della nostra esistenza, i valori più profondi e il fatto che la nostra vita dipenda da qualcosa al di fuori di noi: il suo pane è la parola di Dio. Al momento di iniziare il suo ministero pubblico, Gesù, afferma il Papa nella sua riflessione domenicale, “dovette smascherare e respingere le false immagini di Messia che il tentatore gli proponeva. Ma queste tentazioni sono anche false immagini dell’uomo, che in ogni tempo insidiano la coscienza, travestendosi da proposte convenienti ed efficaci, addirittura buone”.
La vita di Gesù è caratterizzata dall’ascolto della parola del Padre e dall’obbedienza ai suoi disegni. Resistere alle tentazioni significa accogliere totalmente la parola di Dio, e non “strumentalizzare Dio per i propri interessi, dando più importanza al successo o ai beni materiali. Il tentatore è subdolo: non spinge direttamente verso il male, ma verso un falso bene, facendo credere che le vere realtà sono il potere e ciò che soddisfa i bisogni primari. In questo modo, Dio diventa secondario, si riduce a un mezzo, in definitiva diventa irreale, non conta più, svanisce”.
Nelle tentazioni, commenta il Papa all’Angelus, è in gioco la fede, “perché è in gioco Dio. Nei momenti decisivi della vita, ma, a ben vedere, in ogni momento, siamo di fronte a un bivio: vogliamo seguire l’io o Dio? L’interesse individuale oppure il vero bene, ciò che realmente è bene?”.
Parole che in qualche misura possiamo leggere quasi in filigrana con la decisione di Benedetto XVI di rinunciare al Pontificato. È un Papa che si affida totalmente a Dio e anche nella sua scelta, difficile, storica; è nelle mani di Dio che pone il suo gesto, ma soprattutto la vita della Chiesa. Nella certezza che se è vero che “nel campo del Signore c’è sempre anche la zizzania”, e abbiamo visto – ha affermato l’11 ottobre scorso parlando alla fiaccolata promossa dall’Azione cattolica a 50 anni dall’apertura del Concilio Vaticano II – che “nella rete di Pietro si trovano anche pesci cattivi”, che “la fragilità umana è presente anche nella Chiesa, che la nave della Chiesa sta navigando anche con vento contrario, con tempeste che minacciano la nave e qualche volta abbiamo pensato: il Signore dorme e ci ha dimenticato”. È altrettanto vero che “il Signore non ci dimentica” e che il “fuoco di Cristo non è fuoco divoratore, distruttivo; è un fuoco silenzioso, è una piccola fiamma di bontà e di verità, che trasforma, dà luce e calore”.
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