È utile tornare all’ispirazione che ha mosso i cambiamenti. Allo slancio e alla passione che hanno segnato una particolare stagione della nostra storia e che ancora sono capaci di dare frutti per l’oggi, riproponendo la logica fruttuosa della condivisione piuttosto che le dinamiche, pur sempre in agguato, degli interessi contrapposti.
Ricorre oggi l’anniversario del cosiddetto “Nuovo Concordato”, cioè la revisione, avvenuta il 18 febbraio 1984, dei Patti Lateranensi stipulati l’11 febbraio 1929 tra l’allora Regno d’Italia e il Vaticano. Patti che erano destinati a sanare la “questione romana” e a inaugurare un periodo di nuovi rapporti e auspicabile collaborazione tra Stato e Chiesa. In realtà quei Patti, che contenevano norme diverse, avevano alle spalle anche intenzioni differenti, a cominciare da quella dello Stato fascista di allora di accreditarsi, anche a livello internazionale, attraverso un accordo importante con la Chiesa, superando una contrapposizione storica. La Chiesa cattolica, peraltro, immaginava di poter tornare a svolgere un ruolo da protagonista nella società italiana dopo le problematiche e le divisioni determinatesi nel lungo processo di formazione dello Stato unitario.
Di fatto, intorno ai Patti Lateranensi ruotavano interessi e poteri, che cercavano bilanciamento e che trovarono, nelle formule concordatarie, una certa soddisfazione. I Patti ebbero una durata molto lunga, “resistendo” a una guerra mondiale e alla trasformazione radicale dello Stato italiano, che nella sua Carta costituzionale li assorbì, all’articolo 7, rimandando la regolazione dei rapporti tra Stato e Chiesa, appunto, a quanto stabilito dai Patti Lateranensi.
La revisione dei Patti arrivò solo nel 1984. Il 18 febbraio di quell’anno furono il cardinale, allora segretario di Stato vaticano, Agostino Casaroli, e l’allora primo ministro italiano Bettino Craxi a firmare lo storico nuovo accordo. 55 anni dopo, dunque, ma da tempo, ormai, la strada della revisione dei Patti era stata intrapresa (la prima bozza risale agli anni Sessanta), anche con fatica, perché appariva sempre di più come gli accordi fossero inadeguati alle esigenze e alle sensibilità fattesi avanti nel corso della storia.
Un segnale forte e molto eloquente dei cambiamenti è quello legato alle nuove norme per l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche, immaginato dalla vecchia normativa lateranense sostanzialmente come una forma di catechesi scolastica, uno spazio della Chiesa nella scuola e disegnato invece dal Nuovo Concordato come una vera disciplina scolastica curricolare, aperta a tutti, in nessun modo legata all’appartenenza e alla scelta di fede, contributo al percorso scolastico per la formazione completa dell’uomo e del cittadino. Un insegnamento per il quale la Chiesa si mette a disposizione della scuola, in quello spirito di collaborazione reciproca e cooperazione tra Stato e Chiesa – dichiarato all’articolo 1 dei nuovi Patti – “per la promozione dell’uomo e il bene del Paese”. Uno spirito che manifesta il reale cambiamento di prospettiva avvenuto con il Nuovo Concordato e frutto speciale, tra l’altro, delle riflessioni e delle sensibilità seguite in particolare al Concilio Vaticano II, laddove la Chiesa riconosce l’autonomia delle realtà temporali, non cerca privilegi e si mette di fatto al servizio di ogni persona. In questo caso delle famiglie, degli allievi, della scuola intera, del Paese.
Ricordare anche quest’anno l’anniversario del Nuovo Concordato significa tornare all’ispirazione che ha mosso i cambiamenti. Allo slancio e alla passione che hanno segnato una particolare stagione della nostra storia e che ancora sono capaci di dare frutti per l’oggi, riproponendo la logica fruttuosa della condivisione piuttosto che le dinamiche, pur sempre in agguato, degli interessi contrapposti.
Alberto Campoleoni