Antonio Canepa / Il delitto dell’indipendentista di Sicilia

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Antonio Canepa è l’indipendentista di Sicilia per eccellenza. Uomo d’azione ed intellettuale, partecipa attivamente alla liberazione dell’isola. Professore universitario, ama scendere in campo per lottare per i propri ideali. Tra attentati ai nazisti e lotta con i partigiani, la sua vita è piena di azioni estreme. Purtroppo a soli 37 anni rimane vittima di una misteriosa imboscata. Insieme a lui, muore il miraggio di una Sicilia libera e indipendente.

Antonio Canepa / Gioventù dell’indipendentista di Sicilia

Antonio Canepa, l’indipendentista di Sicilia, era una mente viva. Nato nel 1908, assiste inerme alla presa di potere dei fascisti. Studia al collegio Agostino Pennisi di Acireale e si laurea in giurisprudenza. A 22 anni, nel 1930, è chiara la sua natura antifascista. Scrive un libro in cui finge di tessere le lodi del fascismo ottenendo così la cattedra di “Storia delle Dottrine Politiche” all’Università di Catania. Pochi però hanno letto la sua opera. In realtà, ogni parola scritta serviva a dimostrare l’infondatezza e la mancanza di logica delle violente dinamiche fasciste. Partecipa ad un attentato (fallito) contro Mussolini. Quando i tempi sono maturi, intrattiene rapporti con i servizi segreti alleati.

Intellettuale partigiano

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Sbarco in Sicilia

Nel 1943, si lancia in un’operazione suicida. Attacca e neutralizza l’aeroporto di Gerbini, base militare dei nazisti. Un mese dopo gli alleati sbarcano in Sicilia, non incontrando adeguate resistenze da parte dei nazisti proprio per l’azione di Canepa. Subito dopo, il professore parte alla volta di Firenze per combattere a fianco dei partigiani. Lascia la città solo dopo essere certo dell’imminente arrivo della squadra comandata dal partigiano Sandro Pertini. Nel frattempo in Sicilia regna in caos: Canepa decide di tornarvi.

Sicilia: una storia parallela

Mentre la penisola è insanguinata dalle lotte dei partigiani e dalle rappresaglie tedesche, la Sicilia è in rivolta. L’isola è infatti stata liberata dagli alleati (non senza violenze da parte di ambo le fazioni). Tuttavia, i giovani siciliani vengono nuovamente chiamati alle armi, per arruolarsi nell’esercito regio e lottare contro gli alleati di ieri, i nazisti, e i fascisti della Repubblica di Salò. La Sicilia insorge. In ogni città nascono i moti del “non si parte”.

A Catania hanno luogo dimostrazioni particolarmente violente: i cittadini incendiano il municipio, la giovane scrittrice Maria Occhipinti, allora incinta, si stende per strada per evitare la deportazione forzata dei giovani siciliani. Alcuni innocenti muoiono sotto il fuoco delle forze dell’ordine. Nel frattempo, mafiosi ed ex fedelissimi al credo mussoliniano si mascherano nel caos, interessati soltanto alla propria sopravvivenza.

“La Sicilia ai siciliani”

In questo clima di tensione, l’anima indipendentista di Canepa si risveglia ancora. Scrive un piccolo pamphlet intitolato “La Sicilia ai siciliani”. In quelle poche pagine ripercorre la storia della sua isola, dall’epoca delle colonie greche fino al presente. L’obiettivo è uno: dimostrare gli innumerevoli soprusi che la Sicilia ha dovuto subire nel corso dei secoli. Il linguaggio è semplice: il destinatario è il popolo siciliano nella sua interezza.

L’originalità di Canepa sta nell’aver utilizzato la sua conoscenza per rivelare verità insabbiate. Un esempio? All’epoca dell’annessione al Regno d’Italia, la Sicilia era la regione che versava in assoluto il maggior numero di tasse. Tributi che vennero utilizzati per finanziare la costruzione delle fabbriche al nord e sanare i debiti di guerra e il deficit annuo del Regno Sabaudo. Tutto l’opposto di quanto sostenuto fino a qualche anno fa da un noto partito del nord Italia.

E.V.I.S.

Salvatore Giuliano
Salvatore Giuliano

Canepa ed altri militanti indipendentisti decidono di fondare l’EVIS (Esercito Volontario per l’Indipendenza Siciliana). Costruiscono campi di addestramento, raccolgono in breve tempo numerosissimi simpatizzanti in tutta la Sicilia. Ad essi si aggiunge il Bandito Giuliano. Non appena l’esercito si avvicina al migliaio di soldati, i vertici del nascente stato italiano intervengono. Capiscono che è il momento di eliminare il pericolo, prima che la rivolta in Sicilia diventi un fatto irreversibile. Come scrive Saramago, “le teste è sempre meglio tagliarle prima che incomincino a pensare”. Il primo obiettivo è proprio Canepa.

Una figura da eliminare

Il 17 giugno 1945 Canepa e i suoi compagni si trovano in auto, nei pressi della contrada Murazzo Rotto di Randazzo. Una pattuglia della polizia gli intima di fermarsi. In pochi attimi si scatena il fuoco. Il più giovane (18 anni) muore sul colpo, Canepa morirà in ospedale. Altri due riescono a fuggire. Uno dei sopravvissuti era gravemente ferito e, ancora vivo, venne chiuso in una bara e portato al cimitero di Giarre (allora Jonia).

Fu portato a Giarre per “ordini dall’alto” atti a nascondere l’incresciosa azione delle forze dell’ordine statali, anche se il fatto era avvenuto a Randazzo. Per fortuna però, il custode del cimitero insistette a voler vedere il corpo, visto che provenivano lamenti dal feretro. Fu grazie all’insistenza di quell’uomo, che riuscì a salvarsi. La rivolta si è conclusa con la concessione dello Statuto Speciale di Autonomia che istituisce la Regione Siciliana e, ovviamente lo smantellamento dell’EVIS.

Un delitto di Stato?

Ancora oggi sono molti i misteri mai chiariti su quel giorno. È stata un’imboscata? Chi è che ha avvertito la polizia che sarebbero passati proprio di lì? E ancora: perché i cittadini hanno tardato ore nel trasportare Canepa all’ospedale? Questa storia purtroppo viene ricordata da pochi, nonostante Canepa abbia dedicato tutta la sua vita alla Sicilia. Le sue idee minavano alle basi della nascente Repubblica italiana ma, per quanto estreme, contengono un filo di verità innegabile. Contengono, in breve, l’anima della Sicilia. Una terra nata separata dal continente, piena di bellezza e degrado. Colpevolmente trascurata e sapientemente tenuta ai margini di uno sviluppo che la renderebbe altrimenti forse troppo emancipata per certe classi dirigenti nazionali, in quanto non dipendente e succube di decisioni spesso prese a scapito del popolo siciliano.

Cristina Di Mauro